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I Cobas della scuola sulla riforma dei cicli

 

1. La "riforma".

Con un documento ministeriale dal titolo "Riordino dei cicli scolastici", datato Gennaio 1997, il ministro della Pubblica Istruzione Luigi Berlinguer ha reso nota la sua ipotesi di "riforma" della scuola. Questa ipotesi prevede che l'obbligo scolastico abbia una durata di dieci anni, a partire dall'ultimo anno di scuola materna (cinque anni) fino all'età di quindici anni, con la riduzione dei cicli scolastici - attualmente composti da scuola elementare, scuola media, scuola superiore - da tre a due.

Il primo ciclo - dai sei ai dodici anni - inizierà dopo l'anno obbligatorio della materna e si articolerà in tre bienni, di cui i primi due dedicati all'alfabetizzazione culturale e il terzo al consolidamento delle competenze acquisite negli anni precedenti.

Il secondo ciclo avrà una durata di sei anni, di cui i primi tre obbligatori e gli altri tre facoltativi, e andrà da dodici a diciotto anni.

Già nel primo anno di questo secondo ciclo - a dodici anni - si prevedono percorsi differenziati per gruppi di alunni, che nel biennio successivo dovranno scegliere tra indirizzi nettamente caratterizzati. Nell'ultimo anno dell'obbligo è prevista l'introduzione di percorsi integrativi di quelli scolastici per gli studenti che optano per una maggiore professionalizzazione, praticabili in aziende e in non meglio identificate "agenzie formative".

Il secondo triennio delle superiori sarà facoltativo e suddiviso in una diecina di indirizzi. Già al penultimo anno - cioè a diciassette anni - gli studenti dovranno scegliere il loro percorso post-diploma. E' evidente come una strutturazione della scuola di questo tipo si configuri sostanzialmente come un'ipotesi di controriforma rispetto alla riforma che nel 1962 istituì la scuola media unica. Infatti il documento di Berlinguer va a definire una scuola in cui si rompe l'unitarietà dei processi formativi, con il fine evidente di reintrodurre di fatto le scuole di avviamento professionale (una ipotesi caldeggiata anche da alcuni esponenti del sindacatino corporativo Gilda), anticipando la scelta del percorso scolastico a dodici anni - attualmente si sceglie a quattordici anni - e rendendo così la scuola dell'obbligo strettamente funzionale alle richieste confindustriali, da sempre orientate verso una riforma capace di plasmare la scuola sugli interessi della produzione e del mercato, mediante l'apprendistato alla professione e - come dice lo stesso Berlinguer a pag. 10 della sua proposta - la capacità di sviluppare "una corretta filosofia ed etica del lavoro".

2. Il retroterra politico ed economico.

La proposta di riforma di Berlinguer è costruita a partire da alcune direttive alle quali l'obbediente professore pidiessino si adegua in modo del tutto acritico. Infatti se vogliamo ritrovare gli elementi che caratterizzano l'impianto e i contenuti della "nuova" scuola, basta andarsi a leggere i tre documenti fondamentali che hanno fornito il paradigma sul quale il ministro della P.I. ha elaborato la sua proposta: il primo è il "Libro bianco della Commissione Europea" dal significativo titolo Crescita, competitività, occupazione. Le sfide e le vie da percorrere per entrare nel XXI secolo., gli altri due sono frutto di accordi tra governo confindustria e sindacati siglati nel luglio '93 e e nel settembre '96.

Netta l'indicazione che troviamo nel Libro bianco: "... la formazione è uno strumento di politica attiva del mercato del lavoro, che serve ad adeguare le qualifiche professionali alla necessità del mercato e, di conseguenza, è un elemento chiave per rendere flessibile il mercato del lavoro." E ancora : "... la transizione dal sistema educativo al lavoro dovrebbe essere agevolata grazie ad una formazione più pratica e all'apprendistato".

Coerente con queste direttive quanto si afferma nell'accordo del 23 luglio '93, là dove si prevede che l'obiettivo di una modernizzazione e riqualificazione dell'istruzione è quello di finalizzare i sistemi formativi al "miglioramento della competitività del sistema produttivo".

Più articolato, per quanto riguarda l'istruzione, l' "Accordo per il lavoro" del settembre '96 in cui competitività del sistema produttivo, flessibilità del lavoro, personalizzazione dei percorsi formativi, valorizzazione del sistema professionale, costituiscono le linee guida lungo le quali andare a ridefinire l'intero sistema scolastico.

Dal mix di tutti questi ingredienti nasce il "mostro" berlingueriano, costruito a partire dall'assioma che " ciascun individuo, nel corso della propria esistenza, sarà chiamato più volte a cambiare la propria attività lavorativa" (pag. 4), ragion per cui la scuola dovrà servire a "favorire la crescita di autonomie individuali capaci di riconversione professionale" (pag. 4) a sviluppare "l'etica del lavoro" e a garantire "la crescita e la competitività del Paese" (pag. 5).

3. Alcune prese di posizione.

Ci interessa qui riportare due posizioni che a noi sono sembrate molto significative del dibattito in corso: da una parte quella della Confindustria, dall'altra quella del CIDI.

La Confindustria, attenta agli interessi della produzione e del mercato, esprime un sostanziale apprezzamento del progetto di riforma per bocca di Carlo Callieri (vicepresidente della Confindustria) il quale, in un'intervista rilasciata a "Il sole-24 ore", afferma che " il progetto è coerente non solo con l'Europa, ma anche con le diagnosi contenute nell'Accordo sul lavoro".

Critico invece il CIDI che, per bocca del Presidente nazionale Alba Sasso, esprime una serie di perplessità sulla proposta Berlinguer, che in gran parte ci sentiamo di condividere. Infatti la Sasso individua gli aspetti negativi del progetto di "riforma" nella canalizzazione precoce degli alunni e nella rottura dell'impianto unitario della scuola dell'obbligo "a vantaggio di una idea di orientamento che privilegia più le cose da scegliere, un annusare un po' tutto" invece di puntare "al rafforzamento dell'occhio che sceglie, delle capacità di scelta. Se non si rafforza questa capacità saranno in grado di scegliere solo i più forti cognitivamente e socialmente".

4. Una conclusione provvisoria.

Come Cobas crediamo sia opportuno riaffermare che la scuola è un servizio sociale e come tale dovrebbe servire, in primis, ai ceti più deboli culturalmente e socialmente e quindi avversiamo chi ha stravolto questo concetto fino a renderlo funzionale alle esigenze del mercato ( sindacati di Stato, Pds, ecc.), ma altrettanto ostili siamo nei confronti di coloro (vedi Gilda degli insegnanti) che vedono nella scuola una Istituzione e quindi uno strumento dello "Stato etico" di gentiliana memoria. Nei confronti di questi soggetti politici e sindacali è necessario chiarire che per noi la scuola non è un territorio neutro, ma un luogo del conflitto così come ogni altro segmento di una società in cui c'è chi ha il potere e chi non lo ha, chi ha ricchezze enormi e chi riesce a malapena a sopravvivere, chi vive nel lusso e chi non ha nemmeno un tetto sotto il quale ripararsi e dove la conoscenza, invece di essere strumento di liberazione, serve l'espropriazione e l'asservimento materiale e morale degli individui.

Per questi motivi siamo contro le proposte di Berlinguer e rivendichiamo una vera riforma della scuola che preveda:

1. l'aumento degli investimenti per l'ampliamento del sostegno, delle compresenze e la diminuzione degli alunni per classe, contro i tagli di quasi 5000 miliardi previsti dall'ultima finanziaria;

2. l'estensione a tutto il territorio nazionale della scuola materna pubblica, contro ogni ipotesi di finanziamento di quella privata;

3. l'obbligo fino a sedici anni (prima tappa per l'obbligo a diciannove anni) in un biennio unitario delle superiori, reso omogeneo al triennio delle medie inferiori. No ad ogni ipotesi di reintroduzione dell'avviamento professionale mediante la frammentazione dei percorsi scolastici;

4. la gestione democratica e la valorizzazione della cooperazione educativa, contro l'ipotesi berlingueriana che prevede l'introduzione delle figure di sistema e dei formatori, una sorta di capetti funzionali al preside-manager;

5. un triennio delle superiori differenziato, ma capace di coniugare competenze tecniche e professionali e arricchimento culturale, contro la proposta di riforma che - mediante l'introduzione degli stages aziendali - riduce la formazione professionale ad apprendistato.



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