antonelle
(con fabrizio
venerandi)
1.1
Prima di cominciare volevo dire due o tre cose sulle cose
che faccio. Io lavoro in uno studio grafico, realizziamo ogni tipo di lavoro
grafico su carta e cartone, dai biglietti da visita alle tesi di laurea, dalle
raccolte di poesie agli opuscoli informativi, e inoltre locandine, manifesti e
cose di questo tipo. Io lavoro in qualità di grafico impaginatore, guadagno
ottocento euro al mese lavorando circa dieci ore al giorno tutti i giorni
tranne il sabato e la domenica, ma a volte il sabato mattina il mio titolare,
il signor Passavanti, mi costringe a qualche ora di straordinario. Il mio
lavoro non mi piace per diversi motivi fra cui la monotonia, il poco guadagno
rispetto alle ore di lavoro e, ultimo ma non meno importante, la stronzaggine
del mio titolare, il signor Passavanti. Il signor Passavanti mi considera un
idiota e questo mi sta sul cazzo. Non perché io non sia un idiota, anzi sono il
primo a riconoscerlo, il punto è che non sta al signor Passavanti giudicarmi,
il signor Passavanti non è un idiota ma è un coglione, pensa solo al lavoro e
ai soldi, mi costringe a stare in ufficio ben oltre l’orario di lavoro e il più
delle volte ci sta anche lui, sottraendo tempo a sua moglie e alle sue figlie,
beate loro, penso io, che lo vedono così poco, io invece me lo sorbisco dieci
ore al giorno e la sera sono a pezzi, incazzato nero. Io faccio questo lavoro
perché lo so fare e perché non so fare un cazzo d’altro, prima facevo il
commesso in un negozio, come orari era meglio e il titolare non era uno stronzo
come il signor Passavanti, però guadagnavo seicento euro al mese che al giorno
d’oggi non ci fai veramente un cazzo, contando che per una pizza e un cinema ti
partono cinquanta sacchi si fa presto a fare i conti, per cui quando il signor
Passavanti ha detto che mi avrebbe assunto sono stato contento, ma poi sono
venute fuori tutte quelle cose e quindi mi sono anche pentito di essere stato
felice per una cosa così, è stato uno sbaglio. Intanto per ora mi tiene in
nero, poi dice che a fine mese mi fa un contratto a tempo indeterminato che è
una bella botta. Per fortuna c’è Antonella, tranne i momenti in cui anche lei
mi fa girare i coglioni, ma per fortuna capita di rado. Senza Antonella la mia
vita farebbe veramente schifo, nonostante anche Antonella sia una perdente, ha
un QI molto inferiore al mio per sua fortuna e fa la commessa in una squallida
boutique della zona San Donato ed è felice così, per lei un aperitivo da Gamberini
e una serata in discoteca sono il massimo della vita, dorme felice, Antonella
non è né carne né pesce, né troppo carina né troppo brutta, con un viso
insignificante e anche poco espressivo, non ha eccessive ambizioni e a me va
bene così. Veste normale in un modo che mi piace, anche se a volte usa degli
abbinamenti che sono un pugno nell’occhio e non posso fare a meno di farglielo
notare e lei ci rimane male, mi dice che la prossima volta si veste diversa ma
si ostina a non cambiarsi, rimane vestita così e io non la sopporto. Quando il
sabato pomeriggio giriamo per le vetrine ci sono io a consigliarle e faccio in
modo che compri dei bei vestiti, delle gonne che a me eccitano, delle calze.
Infatti l’eccitazione sessuale è uno dei punti di forza del nostro rapporto,
bisogna dire che Antonella mi fa godere molto e si sa quanto il sesso sia
importante nella vita di oggi con tutto lo stress la frustrazione eccetera. Ad
Antonella mi piace metterglielo in bocca perché lo succhia molto bene, solo che
non sempre mi fa venire in bocca, cosa che a me fa impazzire, come credo ad
ogni uomo, quando lo fa sento che la amo di più e dopo che scopiamo faccio il
tenero, le faccio delle carezze, ma è una cosa che mi costa, mi viene più
facile prima. In altri momenti quando sono molto stressato invece la sola idea
di baciarla mi fa ribrezzo, guardo le sue labbra e non riesco a capire come
faccio a baciarla, queste variazioni d’umore sono indice d’instabilità emotiva.
All’improvviso ad esempio mi deprimo dopo che abbiamo scopato, divento triste,
mi vengono in mente cose brutte. Di queste cose non ne parlo con Antonella
perché non è il tipo di ragazza che capisce queste cose, penserebbe che è
perché non mi eccita più o non la amo e cose del genere, si metterebbe dei
problemi e io non voglio, perché se non ci fosse lei e io fossi da solo a
lavorare per il signor Passavanti la mia vita sarebbe ancora più una merda.
Nemmeno Alessandro, che è il mio collega allo studio, potrebbe sopperire alla
mancanza di Antonella, dato che con Alessandro non c’è sesso (anche se una
volta abbiamo limonato, ma questa è un’altra storia). Alessandro è più bello di
me, ma meno intelligente. Quando usciamo le ragazze guardano sempre lui, quelle
fiche, e lui mi presenta delle còfane, oppure delle fiche che si fanno un gran
viaggio. Quella Federica ad esempio che m’aveva presentato era stupenda, una
gran fica, ma parlava solo lei, sparava un mucchio di cazzate sulla chimica,
l’università, tutti i cazzi suoi, e a me non me ne frega un cazzo pensavo, ma
chi cazzo ti credi di essere volevo dirle, comunque quella serata lì non è
andata sprecata perché è finita che mi sono scopato la sua amica brutta, non
ricordo il nome, purtroppo è una legge di natura che le fiche non ci stanno e
le brutte te la danno subito, io ci ho fatto l’abitudine. Poi magari lo
racconto meglio.
1.2
Tipo, con Antonella ci vediamo tutti i giorni. Funziona
così: la chiamo verso l’ora di pranzo, le chiedo se ha dormito bene, cosa farà
nel pomeriggio eccetera. Questo posso farlo solo fuori dall’ufficio perché il
signor Passavanti non vuole che facciamo le telefonate private e alla fine del
mese fa un tabulato con tutte le chiamate anche se ho letto da qualche parte
che non potrebbe farlo. Allora aspetto pranzo e ci parlo un po’, con Antonella,
ma nella cabina non è bello come in ufficio, infatti ci diciamo delle cose
molto semplici, poi quando finisco di lavorare viene a prendermi in ufficio e
andiamo a bere l’aperitivo lì sotto dove lavoro io. In genere prendiamo due
Ceres, a volte io prendo un Martini rosso o un Negroni, anche se il nome, come
dire.
Antonella ha fatto il classico e molti test di
gravidanza. Poi s’è iscritta a biologia, quindi ha cambiato con medicina perché
aveva fatto un saggio di medicina ed era passata. Una volta è andata a un’autopsia,
a lei affascina quel genere di cose, ha conservato ancora la mascherina che
dice che si sente ancora l’odore di morto, mi dice di annusare ma io non ci
sento niente, le dico che è la plastica. Adesso Antonella fa la
cubista/modella, dice che avrebbe voluto fare una facoltà umanistica,
filosofia, lettere moderne, dice ce l’anno prossimo si iscrive all’Accademia di
Belle Arti, infatti lei dipinge, m’ha fatto un ritratto che ho appeso in camera
sopra il letto, è molto bello anche se non si capisce che sono io. Antonella
sarebbe piena di possibilità, ma si sente male spesso, è sempre a vomitare per
niente e mangia giusto quel tanto.
Comunque di solito dopo l’aperitivo ci sono tre
possibilità. Se lei deve andare a lavorare dopo cena, andiamo a cena, poi io
vado a casa a farmi i cazzi miei oppure esco con Alessandro o con qualcun
altro. Se lei invece deve andare a lavorare prima di cena, vado a casa e ceno
con mia madre, oppure esco a cena con Alessandro o, se ho mangiato molto a
pranzo, non ceno. Prendo un tè, o un caffè lungo. Con Alessandro andiamo spesso
al cinema. Una volta, ma solo una, abbiamo limonato, ma è stata una cosa molto
particolare che adesso non voglio raccontare, eravamo in Bosnia.
Se invece lei non deve proprio lavorare per niente, è la
terza possibilità, stiamo insieme, andiamo a mangiare la pizza e poi al cinema,
oppure andiamo al cinema al primo spettacolo della sera e dopo andiamo a
mangiare la pizza. Dopo la pizza se uno dei due ha la casa libera andiamo a
fare sesso, il sesso con Antonella è molto appagante in quanto lei ha un fisico
da sballo nonostante di viso non sia nulla di speciale, ma questo non conta.
Antonella è di quelle che a letto parlano, si lascia andare, dice “scopami
scopami”, “sì ancora così” e tutte le altre cose, devo confessare che a me
questo atteggiamento mi imbarazza, preferirei il silenzio, molte volte dopo che
abbiamo scopato mi viene una gran tristezza, mi deprimo. Ad Antonella
ovviamente non dico nulla, faccio finta di niente, non è il tipo di ragazza che
può capire queste cose, del resto sono solo sensazioni passeggere, cazzate a
ben vedere.
Dopo che scopiamo fumiamo sempre una sigaretta e beviamo
io acqua gassata lei naturale, infatti quando viene a casa mia s’incazza sempre
perché c’è solo acqua gassata, ogni volta diciamo ricordiamoci di prendere
l’acqua naturale per la prossima volta ma ci scordiamo sempre, lei poi non
vuole l’acqua Guizza, dice che è acqua da cesso, che vuole la San Bernardo che
costa dieci volte tanto, io le dico è acqua cazzo è tutta uguale ma lei
s’incazza, è fissata con la San Bernardo, quando le ho preso per sbaglio la San
Benedetto che costa uguale ma ci sono due litri per bottiglia l’ha presa male,
ha detto qualcosa sul calendario, sul santo del giorno, una bella battuta,
adesso non la ricordo più, ci abbiamo riso sopra e siamo tornati a letto a
scopare ma non venivo. Con Antonella io non voglio fare grandi discorsi. A
volte invece di andare a mangiare la pizza andiamo al ristorante cinese o al
McDonald’s, ma è la stessa cosa.
Il weekend è diverso, durante il weekend se lei non
lavora in un’altra città stiamo sempre insieme. Sabato ci alziamo tardi e
passiamo il pomeriggio a girare per la città, in centro, l’accompagno a vedere
dei negozi e spesso compra della roba, Antonella con il suo lavoro guadagna più
di me. Una cintura, un paio di scarpe per il lavoro, belle, coi tacchi a
spillo, una borsetta, un paio di orecchini (bigiotteria), oppure scopiamo. A me
piace scopare di giorno, di pomeriggio, più che alla sera, anche se mi viene il
mal di testa.
La domenica durante la bella stagione facciamo dei giri
in macchina, in autunno e inverno invece andiamo al cinema, ma io mi
rincoglionisco, oppure se abbiamo la casa libera stiamo in casa, magari
guardiamo un film in videocassetta. Io non vado mai a vedere Antonella mentre
lavora, mezza nuda con tutti che le sbavano dietro, sembrerebbe una gran figa
mi verrebbe una gran tristezza. Inoltre anche se non ne abbiamo mai parlato
penso che nemmeno a lei farebbe piacere. Antonella vive con sua madre in una
grande casa in centro. Quando vado a casa sua dopo che abbiamo scopato non so
mai cosa fare, adesso però sua madre ha comprato un computer che ha messo in
salotto, quindi pensavo di installarci il Mah Jongg. Il Mah Jongg è un antico
solitario cinese in cui devi scartare tutte le pedine uguali finché o perdi
perché non ci sono più mosse disponibili o vinci perché elimini tutte le pedine
dallo schermo. Del Mah Jongg esistono molte versioni, io preferisco il MyMahj
tre punto tre. Il Mah Jongg ce l’ho installato sul computer dell’ufficio ed è
diventato una specie di droga, ci gioco sempre invece di lavorare o anche
quando mi metto lì a scrivere una cosa per me va a finire che apro il Mah Jongg
e gioco e non scrivo più un cazzo. Il Mah Jongg è l’ideale per far passare il
tempo, pensavo di installarlo sul computer a casa di Antonella così posso
giocarci anche lì.
2.1
Adesso racconto alcune cose su di me, i miei gusti queste
cose qua. Alla mattina faccio una cosa che non so quanti di voi facciano, apro
le persiane alla mattina e di fronte a me c’è la pecora, bianca e frugolona,
che sulle sue zampette nere mi fissa per un poco e poi beee mi fa e io me lo
lascio dire e poi beee rispondo e restiamo a imitarcelo per un po’, a fare
questa sceneggiata finché non mi giro e dico che è proprio una pecora simpatica
e chiudo le imposte. Chissà cosa pensa lei di me, mi chiedo di tanto in tanto
quando vedo tra le altre cose il mio cane Bell che rincorre le cose che gli
lancio con occhi così diversi dai miei, così scuri. Un cane vive molto meno di
un uomo. La cosa buona di questo lavoro, dicevo spesso ai miei amici, è che si
comincia tardi al mattino, così posso dormire un po’ di più, l’ufficio apre
alle nove, capisci. E alle nove entro nell’ufficio e mi avvicino al signor
Passavanti e gli dico buongiorno e lui a volte sorride, a volte non alza
neppure la testa dal computer. Il signor Passavanti era un ingegnere, ha un
viso un po’ butterato e pochi capelli. Il signor Passavanti è un maneggione, ha
le mani in pasta con certa gente della sinistra, lo sento parlare al telefono,
il suo studio non vale un cazzo. Il signor Passavanti mi mette soggezione.
Diciamo meglio: il signor Passavanti ha fatto in modo che io sia in soggezione
di fronte a lui. Non è difficile se si calcola che il signor Passavanti mi
versa uno stipendio mensile e mi ha promesso un contratto a fine mese,
specifiche del contratto a tempo indeterminato: ottocento euro al mese, orario
di lavoro dalle nove alle sette, pausa pranzo di sarebbe due ore ma noi ne
facciamo solo una, c’è sempre troppo lavoro per farne due, ma poi se io provo
ad andarmene alle sette di sera s’incazza il signor Passavanti, e mi dice: ieri
lei è stato il primo ad andarsene e nella condizione in cui è sarebbe stato
l’ultimo a doversene andare, noi siamo restati a lavorare fino alle nove di
sera, mi dice il signor Passavanti, e io me ne sto zitto, sorrido lievemente e
faccio l’idiota. Io sono un idiota e il signor Passavanti lo sa bene, questo
l’ho già detto. Uscire alle sette di sera significa mangiare e vedere
mezz’oretta di un film in seconda serata e poi andare a dormire. Il signor
Passavanti di notte pensa agli alimenti, al suo studio grafico, all’amante che
milita nella sinistra, io di sera penso agli errori. Lavorare dalle nove alle
sette che poi non sono mai le sette che c’è tanto di quel lavoro per ottocento
euro al mese è un errore. Farsi dire dal signor Passavanti che questo scontorno
è uno schifo e sorridere è un errore, un errore riconosciuto e comunque
retribuito. Ad ogni modo, di sabato mi vedo con Antonella, Antonella ha dei
problemi chi non ne ha. Antonella fa l’insicura di mestiere, con convinzione
sbaglia tutte le cose, si è specializzata, mi mette rabbia e voglia di fotterla
assieme, per questo ci vediamo tanto spesso. Fa cascare i bicchieri nei bar, si
mette a guardare le insegne bloccando la gente che cammina, poi chiede scusa a
nessuno e dice che è proprio un’imbranata, non ha pietà di se stessa, e così
s’impietosisce. Tutti hanno pietà di sé, io un mucchio. Ha due occhi rassegnati
che non mi fissano poi troppo spesso, ha due occhi come Bell, Bell è il mio
cane. Facciamo un giro per le vie del centro a vedere negozi, le chiedo che si
fa cosa facciamo dove andiamo e lei risponde come vuoi, una cosa come un’altra.
Antonella ha i capelli lunghi che cadono sulle spalle e non ha un bel viso,
spero che non voglia farmi tenerezza, non me ne fa. E’ più bassa di me e alcune
sue giacche non mi piacciono, hanno il pelo al collo, e spero che non se le metta
quando esce con me. A volte succede a volte no, irregolarmente. Guardiamo i
vestiti di Benetton con le grosse foto dei bambini neri e bianchi che si
stringono le mani, si abbracciano, poi le vetrine dei cd degli artisti
americani e poi i singoli italiani, e a fine mattinata andiamo al McDonald’s
che una volta era il Burghy, è cambiata gestione ma le cose che fanno sono
sempre le stesse, e qui divento triste per i colori, non mi piacciono i colori
del McDonald’s, non mi piace la sagoma del pagliaccio, non mi piace la
quadricromia delle foto degli hamburger ma mi piacciono le cremine del
cheeseburger e la pulizia in generale, l’ordine. Anche in Croazia c’è Benetton,
mi dice Antonella che c’è andata al mare, in Croazia, che tutta questa guerra
della televisione non si vede per niente, ma sono tutti molto antipatici, ti
trattano male, hanno cose vecchie, non ci sono novità. Io succhio dalla
cannuccia e vedo Antonella che succhia anche lei e mi viene voglia di
scoparmela e me la immagino mentre succhia, me lo vedo già che mi viene duro. A
stomaco pieno è tutta un’altra cosa. Le dico che andiamo a casa mia ma lei dice
di già, che voleva vedere altre due vetrine, un vestitino, io le dico va bene e
penso ad altre cose, ma quando usciamo lei ci ritorna su e sbuffa e dice come
vuoi tu, andiamo a casa tua, tutti i sabati la stessa storia, e io mi metto a
ridere e lei è rassegnata, come dire, questo è il mio corpo cosa mi tocca
prendermi, e questo mi piace, non mi guarda mai negli occhi, guido io, stiamo
zitti fino a casa e poi lei mi chiede di chiudere le finestre che la pecora le
dà fastidio quando bela, quindi si siede sul letto e si mette le mani in grembo
e resta ad aspettare, mi fissa, mi guarda, corruga la fronte, “e adesso” sembra
voler dire, e allora io cambio idea e mi sbottono i pantaloni, resto in piedi,
me li tolgo con i calzini e le faccio vedere i boxer con il cazzo che sforza,
che fa vedere che c’è, e lei mi guarda sempre uguale come prima, così mi tolgo
i boxer e resto nudo e resto in piedi e mi avvicino finché lei non ha il mio
cazzo davanti alla bocca e glielo scontro sulle labbra, e lei non dice niente,
apre la bocca e quando lo infilo comincio ad accarezzarle la testa. Il mio cane
Bell ogni tanto entra nella stanza a vedere e noi gli urliamo di uscire, di
andarsene a cuccia. Comunque anche lei ha il suo bel vantaggio perché non le
vengo quasi mai in bocca.
Questa cosa della pecora fuori di casa non è un simbolo,
io ho davvero una pecora di fronte alla finestra anche se non so come si chiama
perché non è mia, io la chiamo Dolly perché è uguale a tutte le altre pecore,
di notte tutte le pecore sono uguali. Il sistema con cui lavoro è un sistema
Macintosh G3 che gira con l’otto punto sei che non è l’ultimo sistema
operativo, quello più nuovo si chiama nove punto uno ma sta già arrivando il
sistema X, che sarebbe il decimo che cambia tutto. Comunque in ufficio usiamo
l’otto punto sei che per fare quello che dobbiamo fare va bene. Io odio il
sistema Windows, che è l’antagonista del Macintosh. Lo odio perché è una copia
di quello Macintosh ma fa sempre un sacco di casini, è pieno di file con nomi
che non si capiscono e non lo comandi bene come il Macintosh, quando uso un
computer Macintosh mi sento più sicuro, lavoro con più tranquillità. Bill Gates
che ha fatto Windows è un po’ come il demonio e ci sono dei siti che lo
dimostrano. Dove lavoro vengono persone di tutti i tipi, fuori di testa,
grafici, donne di casa, parrucchieri, addetti al marketing, perché noi facciamo
stampa digitale e possiamo stampare su qualsiasi supporto, carta, cartoncino
leggero, carta trasparente, diapositive, e facciamo anche i biglietti da visita
e i libri di poesie e le magliette colorate, queste ultime però solo su fondo
bianco o grigio. Le magliette mi causano grossi problemi per via dei metallari
che le vogliono solo su fondo nero e tutte le volte devo rispiegare che su
fondo nero non le possiamo fare, mi chiedono perché e io gli dico che rimane
l’alone che sul nero si vede. A volte ritorna sempre lo stesso per richiedermi
la stessa cosa, i metallari sono pochi e si tengono in contatto. Quando ero
giovane ero dark, c’erano i metallari come adesso ma c’erano anche i paninari
che adesso non ci sono più. Molti metallari erano persone sensibili che
ascoltavano anche musica classica, io facevo il dark perché erano più
introspettivi, poi ho smesso perché i vestiti costavano troppo, ho ancora delle
foto. I paninari erano i più tristi e i più sporchi e i Pet Shop Boys fecero
una canzone chiamata “Paninaro” e i paninari la odiavano quella canzone che gli
avevano dedicato, comunque i metallari e i Pet Shop Boys ci sono ancora, i
paninari no. I dark non so, mi sembra alcuni. In quel periodo Falco fece “Rock
me Amadeus” tanto per dirne una e io usavo un Apple due plus compatibile che
aveva il Dos tre punto tre, altri tempi.
Quelle che mi interessano di più sono le poetesse che
vengono a stampare i loro libri che nessuno gli pubblica, ma anche gli
scrittori che scrivono libri che nessuno legge. C’era uno che ha fatto un libro
di Zorro e in quarta di copertina c’era la sua foto vestito da Zorro e la
rilegatura era pinzata che costa molto meno. La storia era che c’era questo
Zorro in Sudamerica che doveva salvare delle persone da un regime oppressivo,
non l’ho mica letto, ma facendo la correzione ortografica l’occhio ti cade
sopra e per questo sono meglio le poetesse perché sono le più facili da
impaginare, tutto quello spazio sulla destra, una passeggiata, e poi ti fai del
ridere, a me le poesie non dicono niente, io credo che la poesia sia scritta
troppo difficile e che nel futuro sia stata sostituita dalle canzoni della
radio che invece si capiscono e le ascoltano tutti, penso che alcune canzoni
abbiano delle parole che sono come della poesia. La cosa che odio di più fare
sono i biglietti da visita per via della taglierina e della rifilatura.
L’impaginazione non mi dispiace e anche la stampa è una stupidata, ma quando
c’è da fare il taglio Alessandro esce sempre per delle cose e devo fare io i
tagli, l’egregio signor Passavanti per risparmiare fa stampare tutti i
biglietti da visita attaccati così con un taglio ne fai due, la cosa è logica
voglio dire, non voglio parlar male del signor Passavanti ad ogni costo, su un
A3 ce ne stanno parecchi, ma la taglierina del signor Passavanti non è adatta a
una cosa così precisa e così devo usare dei biglietti da visita vecchi per fare
spessore perché taglia storto, i marchini di registro vanno a puttane, su un
libro non te ne accorgi neanche invece su un biglietto da visita sì eccome,
quando metti tutti i biglietti da visita in pila si vede subito perché fanno i
dentini per i millimetri in più e in meno e le scritte sono un po’ storte da
una parte, quello è il peggio è veramente brutto. E il cliente se la dà, mi
tratta male, mi dice che allora se li tagliava lui con le forbici se doveva
venire una merda del genere, io ci ho sofferto tutta la sera, questo è un
errore, allora fai la rifilatura che è un errore, un errore ne chiama un altro
e alla fine hai prodotto un errore, ma l’errore non è nel cliente, non è nella
taglierina, non è nel signor Passavanti che per risparmiare non la cambia con
una professionale, l’errore è nella mia mano che preme la leva che fa scendere
la lama che taglia quei fottuti biglietti cartonati da visita, anche per questo
sono meglio le poetesse anche se fanno un sacco di sbagli di grammatica e ti
cambiano il testo mentre lo stampi perché lei capisce, la poesia,
l’ispirazione.
2.2
Con Antonella non litighiamo mai, non abbiamo litigato
nemmeno quella volta che mi ha aspettato fino alle sei di mattina in piazzetta.
E’ andata così, in quel periodo lei stava ancora con l’altro sfigato e quindi
capitava che ci vedevamo dopo che usciva con lui, ci davamo appuntamento lì in
piazzetta e se c’erano problemi mi chiamava sul cellulare. Per sfiga però il giorno
prima di quell’appuntamento a lei è caduto il cellulare dalla finestra mentre
fumava sporgendosi dal davanzale e così non poteva essere raggiungibile se era
fuori casa. Comunque ci demmo appuntamento alle quattro del mattino in
piazzetta, io avevo con me il cellulare. Senonché al pomeriggio mi telefona
Bolo in ufficio per chiedermi se vado al casinò con l’Anna, la sua ragazza, e
un altro suo amico. Gli ho detto perché no, si può fare, l’unica cosa ho la
punta con l’Antonella alle quattro stanotte, e lui m’ha detto di non
preoccuparmi che saremmo stati di ritorno anche prima, e così sono andato a
Mestre al casinò vestito in giacca e cravatta. Durante il viaggio di andata il
cellulare mi si è scaricato, poco male, tanto con Antonella eravamo già
d’accordo pensavo. Al casinò prima ho perso duecento sacchi, poi sono tornato
in pari e poi ho vinto trecento sacchi, ero molto soddisfatto. Ho giocato al
caribbean poker (poker caraibico) e alla roulette, ma alla roulette non si
vince un cazzo, o se vinci vinci poco. Quindi alle due ho cominciato ad
allertare Bolo perché andassimo e già vedevo che con l’Anna si metteva male,
litigavano, discutevano e si guardavano di merda, insomma alla fine lei voleva
stare lì e lui non diceva un cazzo, io le ho detto che avevo la punta con
l’Antonella che bisognava andare ma a lei non fregava un cazzo e Bolo non le
diceva niente, stava per i cazzi suoi, aveva i coglioni girati, beveva whisky
al bar del casinò. Dopo un’ora di supplica e preghiere l’ho convinta ad andare
finalmente e siamo partiti poco dopo le tre, sarei arrivato in ritardo ma
Antonella m’avrebbe aspettato, non ero preoccupato, ma sull’autostrada a
Ferrara c’era un incidente, una fila di macchine lunga chilometri, la gente
stava seduta sul guard-rail, giocavano a carte, fumavano, sono andato da uno e
gli ho chiesto informazioni, ero agitato e lui mi fa, potete prendervela comoda
noi siamo qui da tre ore. L’ho ringraziato e sono tornato in macchina, il mio
cellulare era scarico e comunque Antonella il suo non l’aveva, le era caduto
dalla finestra, allora ho bestemmiato un po’ e poi imprecato, infine mi sono
rassegnato e mi sono calmato. Ho passato quel che restava della notte fino
all’alba chiuso in macchina con Bolo e l’Anna che s’infamavano, si tiravano dei
nomi, l’Anna ha finito tutte le sigarette e girava incazzata nera in mezzo alle
macchine a scroccare le sigarette. Il giorno dopo quando l’ho sentita Antonella
m’ha detto che era rimasta lì fino alle sei e si era assopita sulla panchina,
poi era andata a casa perché c’erano delle brutte facce in giro, è stata anche
fortunata che non le è successo niente, non s’è incazzata, lei non s’incazza
mai, d’altronde le ho spiegato la situazione è stata una sfiga non è stata
colpa mia, credo che veramente sia innamorata di me in fin dei conti.
Per finire Antonella ha i capelli castani lisci che le
arrivano fino alla schiena, gli occhi verdi ma non vede brillante, la nuca
piccola, il nasino leggero premuto verso l’alto e gli occhi sono piccoli e
abbastanza tranquilli. E’ alta quasi uno e settantacinque, è molto magra ma ha
le tette che si vedono, molto pronunciate, e anche il sedere voglio dire, fa la
modella, il corpo è da fica, bello, il viso niente di speciale, a molti sembra
antipatica anche se non apre bocca e a volte non capisco quello che pensa
mentre parla. A volte si siede sulle panchine quando andiamo in giro e non
vuole più alzarsi, dice che vuole restare lì, devo farla alzare di forza, mi
stanco molto con lei.
3.1
Non ricordo se ho già raccontato quella del cappello o del
casino da Passavanti, non ricordo più niente, da questo punto di vista va tutto
benissimo. Ho ancora da dire la faccenda del sasso e dello stabilimento Knorr,
non credo di avere ancora detto queste cose, partiamo dall’inizio.
Ci sono dei momenti in cui me ne rendo conto più di
altri, voglio dire io non ho tutta questa lucidità, a finire con il pensare
alla sera ho la testa grossa come un pallone, cerco di avere pensieri piccoli,
pensieri raggiungibili, tanti magari, pensieri a breve termine in modo che di
pensiero in pensiero posso arrivare fino a sera senza stare troppo male, ho
questo mal di testa.
Comunque io lavoro da Passavanti e una sera mi dice che è
arrivato un lavoro, un lavoro grosso, si tratta di una ditta genovese che è
diventata lo sponsor del Genoa che è la squadra della nostra città insieme alla
Sampdoria, diciamo che il Genoa è la squadra più popolare mentre la Sampdoria è
più di classe, è da fichetti, comunque sono le squadre di Spezia, e questa
ditta che penso faccia benzina è diventata lo sponsor e deve presentare la
nuova campagna pubblicitaria in occasione di una partita del cuore, una cosa
del genere, e deve fare questi manifestini cioè c’è tutto questo progetto
grafico da fare da zero e deve essere pronto per domani e mentre Passavanti me
lo dice io mi chiedo perché mi stia dando una cosa così grossa a me che non ho
mai fatto un progetto grafico nemmeno da ridere, chessò un supermercato, anzi
quando ho fatto un volantino per un lucido da scarpe era stata una tragedia, mi
aveva detto di tutto, mi aveva fatto capire che io non sono un grafico, che io
non sono niente. E io mi sento responsabilizzato e mi ci metto d’impegno, ma
dopo due ore mi rendo conto che facendo le cose con cura, con il tempo che ci
vuole, non ci riesco, dopo due ore ho messo le linee griglia e il logo, non ho
proprio fatto un cazzo e inizio ad andare più veloce, mi viene l’ansia di non
finire, e faccio gli scontorni delle immagini alla buona pensando che poi li
finisco dopo con più cura, tanto per avere idea degli spazi delle misure, e poi
mi viene voglia di fare un effetto strano, qualcosa che colpisca, tipo un rombo
che si rigira su se stesso, non so come cazzo è che mi viene l’idea di fare
questa cosa ma sento che è la cosa giusta, sento che se non faccio quel rombo non
posso andare avanti, che se riuscissi a farlo poi scorrerebbe tutto liscio come
l’olio, tutto si aggiusterebbe con il rombo è proprio un’idea fantastica, ma il
rombo non riesco a farlo, mi metto lì con Freehand e faccio i comandi ma quello
che viene fuori sullo schermo non somiglia per niente a quello che ho in mente
e ci sto dietro, inizio a sudare, m’interrompono sempre i clienti per chiedere
delle cazzate, dei prezzi, e io voglio che mi lascino in pace e alla sera manca
mezz’ora alle sette cancello tutto, non ci riesco, e sento da dietro la voce di
Passavanti che mi dice ma che cazzo hai fatto tutto il giorno, non hai fatto
niente, domani dobbiamo presentare il progetto te ne rendi conto che non ho
niente da dare al cliente, te la prendi tu la responsabilità, e io lo guardo e
sorrido, non vedo cosa potrei fare, gli spiego che volevo fare un rombo ma lui
mi dice di alzarmi, di lasciargli il computer, e inizia a lavorare al mio file,
cancella tutte le mie linee guida e poi vede gli scontorni fatti alla cazzo e
mi dice, che cazzo è ti sembra uno scontorno questo, e io sto zitto, e lui
dice, questo è uno scontorno di merda, pensavo di farlo meglio dopo dico io, e
lui dopo quando strilla, che non hai ancora fatto un cazzo, e allora resto a
guardarlo e lui si mette a fare il suo progetto che aveva già in mente e ogni
cosa che ho fatto io, mi dice, non andava fatta in quel modo, ho perso tempo
per niente, bisognava fare in quell’altro modo e io ci credo e mi chiedo se il
signor Passavanti sia fragile e in che punto potrei colpirlo da dietro la
sedia.
E’ stato dopo questo casino che sono andato da Antonella
senza dirle niente, ero distrutto e volevo che mi dicesse qualche cosa. Di
sera, erano le undici di sera, sono a stomaco vuoto, sono incazzato marcio e
guido come un pazzo, prendo i semafori rossi, voglio solo arrivare a casa sua e
sentire cosa mi potrebbe dire, non posso tenermi tutta questa roba dentro, è un
peso dentro e non ci sto bene, non sto per niente bene. Guido verso
Sampierdarena con gli stabilimenti che si accendono, che bruciano nella notte
con quell’odore al mio fianco, sono come in un film, non ci arrivo a domani
mattina.
Allora vedo casa sua e posteggio la Corsa davanti al
civico, in seconda fila, e la via è buia, ci sono le macchine che passano ogni
tanto, fa freddo. La faccio di corsa fino al suo portone e suono al citofono e
mi risponde la madre, perché Antonella vive ancora con sua madre, e mi chiede
chi sono. Io le rispondo che sono io e le chiedo se Antonella può mica scendere
e sento la voce di Antonella che chiede chi è, e sua madre le dice che sono io
che le dico se può scendere e sento Antonella che dice che è in tuta, che stava
guardando la tv, adesso si trucca e scende, e prima che la madre mi dica queste
cose io mi metto a singhiozzare e le dico che scenda subito, che lasci perdere,
che le devo parlare, e la madre dice vabbene glielo dico. Resto sotto al
portone e aspetto e passa una buona mezz’ora e l’aspetto sempre peggio, e poi
la vedo scendere tutta vestita come se uscissimo, con la faccia truccata che mi
sorride, e appena mi viene incontro io le mollo un ceffone in faccia che le
rimangono stampate le dita e le faccio fare un giro di centottanta gradi, non
se lo aspettava proprio. E’ mezz’ora (le urlo) che ti aspetto. E mi metto a piangere
e lei invece, che mi aspettavo scoppiasse in lacrime, resta seria a strofinarsi
la guancia e mi resta lontana a fissarmi, a vedermi piangere.
Resto un attimo a guardarla e poi le dico che andiamo in
un locale lì vicino che ha anche il biliardo, e lei mi risponde okay, ha la
voce rotta. Stiamo zitti, andiamo con la mia macchina e dopo un po’ le passo
una mano sulla guancia, le dico che mi dispiace davvero, ma lei non mi
risponde, guarda fuori dal finestrino, poi arriviamo al locale. Entriamo e ci
sediamo ad un tavolino di legno e io ho ordinato una birra rossa alla spina
mentre lei ha preso un aperitivo analcolico con il pompelmo. “Davvero mi
dispiace” ripeto, però credo che tirare quel ceffone mi abbia fatto stare
meglio, ero più tranquillo e infatti lei dice di non preoccuparmi, che va tutto
bene. Ma non mi chiede niente, rimane a fissarmi e dopo un po’ mi dice di
andare nel bagno a lavarmi la faccia che sembro un mostro e io sorrido e ci
vado.
Quando ritorno la vedo che mi aspetta e mi fermo sulla porta
a fissarla, così, seduta al tavolino, mi verrebbe voglia di immaginarmi di non
conoscerla, e poi di farmela, di scoparmela in macchina. Ma mentre penso queste
cose mi ricordo del casino di Passavanti, di quello che mi aspetta il giorno
dopo, ed ho come una scarica di adrenalina, non mi sento tanto bene e il fatto
di scopare diventa l’ultimo dei miei pensieri. Torno al tavolo e le racconto
tutto, le descrivo il casino che ho fatto, la faccenda del rombo che non
veniva. Mentre parlo scelgo le parole, cerco di farle capire bene quello che
avevo dovuto passare, le ripeto più volte gli stessi concetti e alla fine lei
mi parla, mi dice una cosa che non avrei creduto, che in fondo mancano solo
quattro giorni alla fine del mese, ancora quattro giorni e poi avrò un
contratto a tempo indeterminato e a quel punto chi se ne frega, ingoia ancora
questi rospi, stacci anche fino a mezzanotte, e firma, e intanto hai la
sicurezza. “Ma io quelle cose non le so fare” cerco di spiegarle, e lei mi
risponde che lo sa, che mi sopravvaluto sempre, che devo ripartire con umiltà.
Con Passavanti posso ricominciare e piano piano imparare ad arrangiarmi, e poi
se facessi così schifo Passavanti mi avrebbe già cacciato. Devi imparare da
Passavanti come si fa, come si impaginano quelle cose, ti fai un mestiere. Io
le rispondo che però mi sento a terra.
Lei guarda con l’orologio che ore sono e mi dice che
adesso è tardi, che deve andare a dormire, domani deve essere in ufficio un po’
prima, è quasi la fine del mese e deve fare un sacco di fatture, deve calcolare
delle ritenute d’acconto. Poi quando sale le scale di casa sua si gira e mi
dice che se vivessimo insieme adesso andremmo insieme nel letto, che sarebbe
tutta un’altra notte, ci prova sempre.
Il giorno dopo arriva il cliente, è un tipo che non
capisce un cazzo, sta sempre al telefonino, è un ragazzino, avrà due o tre anni
più di me e fa un sacco di cazzate, telefona di continuo in sede, vuole parlare
con Patrizia e gli passano invece Valeria e lui s’incazza, fa un po’ la scena a
voce alta, deve avere una conferma via fax da Milano e stiamo ad aspettare per
due ore. Ogni volta corregge la bozza di Passavanti e io la rifaccio e ogni
volta si era dimenticato qualcosa, oppure gli hanno detto i suoi boss che non
andava bene, che bisogna rifare, e io sono più calmo, devo solo correggere la
base di Passavanti, mi rompe ancora le palle ma adesso è tranquillo e alla fine
andiamo in stampa, c’è l’okay definitivo del cretino, lo facciamo firmare in
modo che se poi ci sono delle cazzate sono affari suoi.
E c’è questo momento in cui è tutto in stampa e
Passavanti si siede vicino a me e sorride e dice che non mi assume, che il mio
curriculum era gonfiato, che dovevo dirlo prima se certe cose non le sapevo
fare. Io ci resto di merda e gli dico che pensavo di saperle fare, ma
Passavanti mi chiede se me ne sono reso conto anch’io che non so proprio farlo
un progetto grafico, che questi due mesi erano di prova e che per quanto
riguarda lui la prova era andata malissimo, che si aspettavano da me che mi svegliassi,
che entrassi nel lavoro, e invece ero un peso morto, che di fare un contratto
proprio non se ne parla.
E poi butta lì che finché non trovo di meglio posso
restare in nero, che mi paga in nero, però devo fare qualche straordinario la
sera, perché sono troppo lento a lavorare. Se poi tra due, tre mesi Passavanti
avesse visto che mi ero svegliato, che mi organizzavo il lavoro con una certa
sicurezza, allora sì che si sarebbe di nuovo potuto parlare di un eventuale
contratto. E mi diceva che lui era il primo ad avere il vantaggio di avermi
sotto contratto, ma non così, così non andava, e io ero lì seduto davanti al
Mac G3 e vedevo questa scena senza sapere cosa dire, mi sembrava che ogni mia
parola sarebbe stata registrata, davvero, e restavo a fissare la faccia di
Passavanti che aveva quel sorriso paterno, di un padre che premia e punisce. E
sono restato così per un po’, poi mentre le copie uscivano sono andato di
nascosto da Alessandro che stava facendo delle plastificazioni e gli ho detto,
non mi assumono, e Alessandro ha fatto la faccia sorpresa di chi lo sapeva già
e ha detto perché? come mai? e si è parlato un po’ male di Passavanti, ma le
cose che a me sembravano incredibili per lui erano normali, mentre lui si
lamentava per delle cose sue personali, perché voleva il part time, tanto lui
il contratto lo aveva già. E capivo che contro Passavanti ero solo, che
Alessandro era contro Passavanti per conto suo e io ero contro per conto mio e
che Passavanti ci avrebbe messo l’uno contro l’altro. Infatti lo stesso giorno
Alessandro si era incazzato con Passavanti perché voleva andare a pranzo
all’ora di pranzo e farsi almeno un’ora delle due che gli spettavano e
Passavanti gli diceva che non ci pensasse neppure, che noi facciamo orario
continuato, e sono andati avanti così per un po’, poi alla fine Alessandro ha
detto che ci dovevamo mettere d’accordo noi due e quindi lui andava a pranzo
nell’ora di pranzo e io avrei pranzato alle tre, così ci sarebbe stato sempre
uno di noi in ufficio.
Io Alessandro lo conoscevo già prima, eravamo insieme
negli scout cattolici, poi io me n’ero andato perché facevo le gare di nuoto,
ero un ragazzino, si pensa di avere tutte le strade aperte quando si è
ragazzini, invece lui aveva continuato e ora a trent’anni era ancora scout, era
un capo di ragazzini, d’estate facevano delle vacanze in montagna, dei campi,
bivacchi cose di questo tipo, mentre io avevo smesso di nuotare, non ero male,
facevo stile libero, una vasca da venticinque metri in diciotto secondi, ma poi
non studiavo un cazzo, avevo lasciato perdere. E chi ti ritrovo quando vado a
fare il colloquio da Passavanti? Proprio Alessandro, e così s’era iniziato a
parlare dei vecchi tempi, delle cambuse, e poi s’era usciti assieme.
A sedici anni avevamo fatto un campo particolare di
servizio, si era fatto autofinanziamento vendendo torte e tagliando l’erba per
i contadini, ci eravamo fatti il culo per un anno per andare in Bosnia ad
aiutare le popolazioni eccetera, in realtà perché era fico andare in Bosnia
dopo la guerra e per beccare le scolte che sono le femmine degli scout grandi,
che si chiamano rover. C’è tutto questo linguaggio da imparare, ma poi ci fai
l’abitudine.
Comunque siamo andati in Bosnia e non abbiamo fatto un
cazzo di utile, si stava in chiesa un sacco di tempo a pregare e poi si
facevano dei lavoretti del cazzo, spostare dei sassi, tagliare dei rovi,
davvero, ed era tutto normale, solo nei muri delle case c’erano dei buchi. La
popolazione ci trattava di merda e noi ce ne stavamo per i cazzi nostri,
eravamo ben vestiti anche se in uniforme. La popolazione era vestita normale e
non stava poi tanto male, comunque si mangiava da schifo, poi ci hanno dato le
scatolette dell’esercito, la razione K, crauti e carne per una settimana, uno
stomaco grosso così.
E una sera si faceva la veglia alle stelle che è una cosa
di preghiera, ma c’era nuvolo, non si vedeva un cazzo, i capi erano nella
cambusa, si sentiva da lontano che ridevano, erano ragazzi anche loro, e io e
Alessandro siamo sdraiati su un prato a guardare, niente, non si vedeva niente,
e Alessandro tira fuori questa storia che limonare al buio non ti accorgi se è
un maschio o una femmina. E io che pensavo ai cazzi miei gli dico, davvero, e
lui dice, sì, tipo adesso che c’è buio pesto se ti limono ti sembra che sono la
Valentina. La Valentina era un po’ la fica del gruppo, era una scafata, ma sua
madre non l’aveva fatta venire in Bosnia, erano andati in Corsica. E io, devo
dirla tutta, di limonare non mi faceva schifo, e gli dico che in effetti al
buio non si vede chi è, e stiamo zitti per un po’, poi senza dire niente
Alessandro si alza e mi si mette vicino e vedo che si avvicina per limonare e
gli dico, guarda che ti vedo non è così buio, e lui mi dice, cazzo chiudi gli occhi,
e così faccio e si limona per un quarto d’ora buono. E in effetti il trucco è
vero, penso a Valentina e più o meno è la stessa cosa. Ma di questa cosa non si
parla più, da Passavanti neppure a pensare di dire ti ricordi quando limonammo,
maddai. Per me è un bel ricordo, ma ho divagato.
Quel giorno quindi ero distrutto, alla sera era ancora in
stampa il volantino del Genoa della partita del cuore ed erano le otto e io
dico, me ne frego, mi metto la giacca e poi siccome nessuno mi chiede niente,
sono tutti e due davanti al Macintosh, io dico che ho un appuntamento, che devo
andare, ho la voce di uno che chiede scusa, e Passavanti non mi risponde
neppure, continua a fissare lo schermo, mentre Alessandro clicca e lavora e
dice a voce alta, ciao. Me ne esco e decido di andare da Antonella, ma questa
volta le telefono prima, così va a finire che non ci vado più perché lei mi
dice che ha le sue cose, che non sta bene. Io le racconto tutto al telefono,
che non mi assumono più, che è una merda di posto, che mi tocca mangiare alle
tre del pomeriggio, e ci sto un po’ a raccontare, ma alla fine lei continua la
sua tiritera, che Passavanti è una brava persona, che non ti ha cacciato ma
anzi ti ha lasciato la porta aperta, appena entri nei meccanismi dell’ufficio quello
ti assume, che è la cosa più seria che io abbia fatto, che ho la possibilità di
farmi un mestiere, che ho già trent’anni suonati e quello comunque mi paga e
continua così, e man mano che parla io allontano la cornetta dall’orecchio
finché non sento solo il suono della sua voce e mi immagino le sue parole. In
quel momento mi succede una cosa strana che cambia poi le cose a venire, e cioè
che sono contento di non avere Antonella vicino e che ho fame di cose salate,
d’improvviso, che voglio una minestra di dado, di due, tre dadi, e visto dove
abito è una cosa ben strana perché io di solito i dadi di brodo li odio.
Comunque passo al supermercato che chiude alle dieci, che è della Basko ed è
una bella comodità per chi lavora fino a tardi, e mi compro una scatola mi
sembra di Liebig.
3.2
A volte per fortuna anche nella mia vita succedono cose
che cambiano un po’ la vita di tutti i giorni, come per esempio l’altra notte
Antonella m’ha detto che quando era a Milano ha scopato con uno. Quando me l’ha
detto sono stato di merda ma ho fatto finta di niente, ho fatto finta di essere
stupito, come! ho esclamato e l’ho guardata, Antonella che stava con gli occhi
bassi e parlava a bassa voce, mi raccontava di questo tizio, Rossano Simic, un
fotografo che era lì allo show room, Antonella era andata a Milano per fare
questo show room, era il suo primo show room ed era partita tutta eccitata,
finora aveva lavorato solo in dei locali o al massimo aveva fatto delle foto di
posa per dei fotografi di merda, e questo Simic stava lì a fare il suo lavoro,
a fare il fotografo, fotografava le fiche, le modelle, fotografava Antonella. A
un certo punto Antonella è stata zitta così le ho chiesto dopo un po’ di
continuare, se mi diceva cosa aveva fatto, com’era successo, parlavo con un tono
tranquillo ma veramente ero incazzato come una bestia, anzi più che incazzato
avevo una sensazione di merda tipo un misto di depressione e incazzo e
frustrazione che mi scuoteva tutto dentro, fuori però sembravo calmo ed ero
fiero di me per questa impressione che davo ad Antonella, in questo modo
inoltre lei si sentiva ancora più in colpa il che era giusto, doveva sentirsi
di merda perché aveva fatto una cazzata. Così mi racconta che questo Simic
all’inizio le era sembrato un viscido, uno schifoso, la guardava con uno
sguardo da porco però non allungava mai le mani come gli altri, non rideva, si
vedeva che quell’atteggiamento da viscido, da porco, era una posa da duro che
lui metteva su abitualmente in quegli ambienti lì, l’ambiente della moda, le
sfilate a Milano si sa che è una merda, devi essere una merda per adeguarti,
per restare fuori dalla merda, infatti poi uscendo da lì al di fuori di quel
mondo Rossano Simic si era rivelato un tipo molto educato, estremamente
sensibile come aveva notato subito Antonella la prima volta che erano usciti,
lei ha un sesto senso per queste cose come è stato anche con me che sembro
insignificante ma lei s’è poi innamorata di me grazie a questo sesto senso che
capisce come sono fatte le persone dentro e spesso ci prende, come con questo
Simic. Insomma lui l’ha invitata fuori e lei guardandolo negli occhi da porco
ha capito che in realtà non era un porco, azzeccandoci, così ha accettato, si è
fatta portare fuori a cena lì a Milano. Mentre Antonella parla la ascolto un po’
sì e un po’ no, penso al cazzo di Rossano Simic, vorrei chiederle come ce l’ha,
come hanno scopato, sono quelle le cose che vorrei sapere e non queste cazzate
della cena del carattere, vorrei sapere se gliel’ha succhiato e come, se si è
fatta venire in bocca (ma non credo) e se Rossano Simic ce l’ha molto duro il
cazzo, se ce l’ha più duro del mio questo voglio chiedere, ma naturalmente sto
zitto, faccio finta di ascoltare con estrema attenzione come se mi interessa.
Dunque a cena hanno chiacchierato piacevolmente, Rossano Simic è simpatico dice
Antonella, parla sempre, fa delle battute divertenti e mai volgari, parla del
lavoro, della gente di merda che s’incontra in quel mondo della moda lì a
Milano ma anche in ogni parte del mondo il mondo della moda è una merda, parla
della sua passione di fotografo che è iniziata con le foto di sport, le foto di
skate e snowboard con i suoi amici, le prime macchine fotografiche, e bevevano
molto vino lui e Antonella a cena nel ristorante, un posto bellissimo fuori Milano,
una specie di castello con le candele e tutto, bellissimo, poi dopo la cena
Rossano Simic (che Antonella m’ha descritto sui quarant’anni, alto, stempiato
con pochi capelli, magrissimo praticamente senza muscoli, abbronzato, non bello
niente di particolare a parte gli occhi dice Antonella, occhi azzurri
stranissimi sembra un vampiro, un vampiro dico io che cazzo dice, che stronzata
è) la invita da lui ma ovviamente lei rifiuta, declina, allora lui dice okay,
non insiste, ovvio, conosce i suoi polli, sa come comportarsi, non si insiste
la prima sera, sa chi ha di fronte, se n’è scopate mille come Antonella e alla
fine Antonella non ha esperienza, è solo una gran fica di periferia, non sa un
cazzo della gente di merda che c’è in quel mondo di merda della moda, comunque,
dice Antonella, ho rifiutato e lui non ha insistito, educato, m’ha chiesto se
un’altra sera andavo con lui a una festa importante con della gente importante
che mi presentava e io ho detto di sì ovviamente, non c’era niente di male,
solo che il bastardo aveva calcolato tutto (ho pensato) ma non ho detto niente,
mi sono acceso una sigaretta, ho fatto finta di niente, sembrava che ascoltavo
con noncuranza, a un certo punto ho anche simulato uno sbadiglio e Antonella si
tranquillizzava, era tuffata nel ricordo di Rossano Simic, pensavo a come ce
l’ha il cazzo uno che si chiama Rossano Simic, mi sembrava di avere il cervello
spaccato. E allora a quella festa? ho chiesto, no dice Antonella, alla festa
non ci siamo nemmeno andati, siamo andati a cena e poi a bere in un posto, era
mezzanotte, parlavamo benissimo e lui m’ha detto senti, perché non ce ne stiamo
qui non ce ne stiamo per i cazzi nostri, beviamo qualcosa, parliamo, facciamo
due chiacchiere, io avevo bevuto già tanto, ero brilla, gli raccontavo la mia
vita non mi ricordo, ho detto di sì, mi piaceva star lì a parlare, poi dopo
siamo andati a casa sua, sono entrata in casa sua, ho detto di sì, e lì è
successo, cosa è successo cos’è che avete fatto penso incazzato nero, sto di
merda, ma dico riuscendo persino a sorridere: dimmi com’è andata, dimmi i
particolari, sono curioso, e Antonella mi guarda e sorride anche lei, si
vergogna ma è anche orgogliosa alla fine di se stessa, non sa quanto io sto
male, in questi momenti potrei anche ucciderla, dimmi del suo cazzo penso, ce
l’aveva grosso, come ce l’aveva, com’è il suo cazzo, il cazzo di Rossano Simic
penso ossessionato. Oh è stato bello alla fine certo non come con te amore però
è stato eccitante da morire, prendeva l’acqua e me la sputava addosso, cosa
penso io, l’acqua, ti sputava addosso dell’acqua, che cazzo dici, cos’è questa
cazzata, poi mi leccava l’acqua mi leccava tutta dice Antonella, mi racconta
tutti i dettagli, schifoso bastardo pensavo io ascoltando fingendomi intrigato,
interessato, incuriosito, ancora Antonella non era arrivata al suo cazzo, non
aveva descritto il suo cazzo quando l’aveva penetrata, avevo il terrore che non
me lo diceva spontaneamente, ero costretto a chiederlo espressamente a chiedere
com’era il cazzo di Rossano Simic e se l’avessi chiesto ad alta voce impazzivo,
m’incazzavo, perdevo il controllo, non potevo chiederlo ma dovevo assolutamente
sapere com’era il suo cazzo, senonché alla fine per fortuna Antonella c’è
arrivata a parlare del suo cazzo, il cazzo di Rossano Simic, ha detto che non
ha usato il preservativo, brava ho gridato, sono esploso, così non ce la faccio
pensavo, gridavo chissà le troie che ha scopato quello stronzo! scopi il primo
che capita senza preservativo! chissà le malattie di merda che ha quel bastardo!
Cristo! urlavo veramente fuori di me, Antonella s’è spaventata e ha detto
urlando anche lei per coprire la mia voce, anche tu lo fai senza preservativo!
sei contrario al preservativo dici che è una merda scopare col preservativo!
perché urli così! ed è andata a finire che le ho dato uno schiaffo e dopo
gliene volevo dare altri, era come l’appetito vien mangiando volevo pestarla,
però ho fatto finta di calmarmi di pentirmi, scusa, le ho detto. Poi scopiamo,
la faccio godere molto perché ho quell’energia di quella sensazione dentro che
dicevo prima, quel misto di rabbia depressione mi rende il cazzo durissimo
perciò lei gode, io no, io penso a come faceva Rossano Simic a scoparla, come
glielo metteva dentro, con che faccia lei lo guardava come guarda me ora, per
distrarmi mi muovo più forte, la sbatto forte per non pensarci, sudo. Hanno
sniffato cocaina insieme, mi dice poi, però non m’è piaciuto dice Antonella, ho
iniziato a balbettare, sono dovuta andare a letto, mi vergognavo, non ti ha
eccitato la cocaina le ho chiesto, no, ha risposto Antonella, sono andata a
letto, non stavo in piedi, mi bruciava il naso, era come il Rinofrenal una dose
massiccia di Rinofrenal per l’allergia. Poi per tutto il tempo che lei stava lì
allo show room notava che lui sniffava sempre, di giorno di notte, un fotografo
stronzo cocainomane, e ho pensato che era veramente molto tardi, le tre del
mattino, io devo andare al lavoro pensavo, io devo andare al lavoro, sono
stanco, sono sempre stanco, e Rossano Simic ha messo il cazzo dentro Antonella
con il suo consenso, Antonella mi fa fare tardi per raccontarmi di Rossano
Simic, in realtà non avevo sonno ma ho detto ad Antonella che avevo sonno, era
tardi, dovevo lavorare di mattina, mi alzavo alle otto. L’ho portata a casa e
sono andato a casa dove ho fumato molte sigarette tutta la notte, a volte
seduto a volte sdraiato sul letto a volte in piedi fermo a volte camminando per
la stanza, mi sono guardato allo specchio a un certo punto mi sono guardato
negli occhi e il cazzo. Non m’è venuto in mente niente, pensavo di immaginare
il cazzo di Rossano Simic e senza rendermi conto alla fine ho concluso che ero
proprio stanco, non capivo più niente, avevo una gran voglia di dormire e
affanculo Antonella Rossano Simic il suo cazzo affanculo tutti, io dovevo
dormire che poi dovevo lavorare la mattina. Mi sono addormentato subito, ho
sognato il sangue.
4.1
Allora mi sono costruito questo cappello di Archimede
Pitagorico, non il greco, quello di Topolino. L’ho fatto uguale però di cartone
e invece della gallina ci ho messo una papera di peluche perché la gallina non
la trovavo, pare che nessuno voglia una gallina di peluche per il proprio
figlio, li capisco la gallina è scema. Così ci ho messo una papera dentro una
casa e dietro al sedere un uovo Kinder ancora chiuso come se l’avesse fatto
lei, tutto con l’Attak che non caschi giù anche se balla. Il cappello è pesante
e tiene caldo ma questo potrebbe funzionare. La domenica mi siedo davanti alla
finestra con il cappello di Archimede Pitagorico e guardo la pecora, e dietro
guardo lo stabilimento di dadi Knorr. Io abito davanti a uno stabilimento di
dadi Knorr, questo non l’avevo detto. Quando sentiamo tutti un buon odore
nell’aria vuol dire che è successo qualche casino allo stabilimento dei dadi
Knorr, pare che nei dadi Knorr ci siano anche i feti delle mucche tritati,
dicono, che poi queste cose non sai mai se è vero perché ho visto alla
televisione che c’è gente che di mestiere si inventa delle cose finte, come
degli scherzi ma seriamente, ed è uno di Napoli che ha detto che i napoletani
si erano fatti le magliette bianche con la striscia della cintura di sicurezza
disegnata e tutti ci avevano creduto, i giornali con la foto, e poi non era
vero, i napoletani la cintura di sicurezza non la mettono e basta. E poi i
coccodrilli che nascono nelle fogne che la gente se li porta quando sono
piccini e poi li butta nel cesso, e poi la tipa che torna con il cagnolino
dalle vacanze e poi si scopre che è un topo grosso e poi gli hamburger del
McDonald’s che sono fatti con i vermi e lui dice che certi miti vanno smontati
con la logica, che basta dire che la carne di lombrico costa dieci volte tanto
quella di maiale ma secondo me è fatta con quella di maiale e di topo mescolate
assieme, valle a beccare le multinazionali ci stanno ammazzando. Comunque con
il cappello cerco di avere la buona idea, quella che aspetto da un po’ di tempo
a questa parte. Perché a trentasei anni i lavori che ho fatto sono stati quello
che mette la pubblicità nelle cassette, e poi quello che porta i pacchi sul
motorino, il pony express, e poi ho fatto uno che corregge le bozze dei test di
grammatica francese ma questo per due mesi e fuori Spezia, poi stavo dietro a
due vecchi che morivano in casa, e poi mio padre mi ha fatto lavorare da lui
per due anni a scrivere su Excel la contabilità del negozio, e ora due mesi di
tirocinio per Passavanti che mi aveva detto a fine mese contratto a tempo
indeterminato e invece mi tiene in nero, e io a trentasei anni mi dico che
cazzo so fare. Perché penso adesso sono ancora forte, fossi nei casini vado da
mio padre o mi rimetto a fare la pubblicità nelle cassette con gli immigrati,
ma tra dieci anni io non so fare un cazzo come adesso e come dieci anni fa non
sapevo fare un cazzo. Voglio dire non ho due lire di contributi, appena sono
vecchio io non so fare un cazzo.
Per questo mi sono fatto il cappello di Archimede
Pitagorico e mi metto alla finestra a vedere lo stabilimento dei dadi Knorr,
perché aspetto il canto del gallo. Antonella va già meglio perché lei ha finito
una scuola che non c’entra niente con il fatto che adesso fa la segretaria per
un suo ex. Si stavano per sposare due anni fa, lavoravano assieme, poi lui le
ha detto che niente, adesso voleva essere libero, che aveva conosciuto una rumena
in un campo di fede dell’Azione Cattolica, e che la sua vita adesso la vedeva
come se la vedesse da fuori, che insomma le solite cose, ma tutto molto
civilmente, così lei è rimasta a lavorare per lui, settecento euro al mese però
fa un part time lungo, se ci mettessimo assieme mi dice lei potremmo anche
tirare avanti e comperarci un’automobile, una Daewoo Matiz con un anticipo e
delle rate mensili da meno di cento euro e io le dico che io gli ottocento euro
di Passavanti me li sputtano tutti in troie piuttosto che mettermi in casa
Antonella e così lei se ne sta zitta per un po’, all’inizio piangeva poi le
rispondevo sempre con lo stesso esempio e s’è abituata, si abitua a tutto
Antonella è capace di fare tutto con un po’ di buona volontà. Le ho fatto fare
due o tre cose ad Antonella che dopo mi sentivo anche un po’ in colpa e mi
mettevo a ridere. Ma lei niente, come se fosse qualcosa di inevitabile, si
prendeva tutto quello che gli arrivava addosso, Antonella è stato un buon
acquisto ma ogni tanto fa la pesante. Non mi piace tanto di viso, ma ha poche
storie per la testa. Tipo l’altra sera sono uscito con Alessandro, il mio
collega da Passavanti, e mi ha detto che mi portava in un locale dove ci
sarebbero state anche delle ragazze, delle sue amiche, e mi sono vestito bene,
e dopo cena ci sono andato e c’erano proprio. E c’era una che si chiamava Paola
che era la più fica ragazza che avessi mai visto, sembrava la Marcuzzi ma
davvero, era una cosa da copertina che non ci credevo che era lì con noi a bere
e parlava, e mi ha fatto questo strano effetto vedere una come una fotomodella
lì con Alessandro che vedo tutti i giorni, come se fosse così facile che una
come una modella fosse a bere con noi la birra in un locale di sera, e dopo
questo brutto effetto mi sono messo lì a parlare per vedere se me la dava, e
questa raccontava che faceva la biologa e si è messa a parlare di chimica, e io
la stavo a sentire per vedere cosa diceva, ma quella continuava e la menava a
tutti con queste cose del suo lavoro e io volevo solo capire se me la dava o
no, così dopo una mezz’ora che questa parla di chimica io le dico se ci diamo
un taglio con la biologia, che mi ero fatto due palle così con quei discorsi,
ma allora tutti gli altri ragazzi dicevano di no, facevano gli interessati, ma
dai questa cosa degli aminoacidi è davvero troppo interessante, perché erano
degli sciacalli, e la fica allora si è rimessa a dire delle cose del suo lavoro
e io ho pensato, ma vaffanculo, che spreco, un corpo da modella in una testa
così rompicazzo, e mi sono messo a vedere l’amica brutta che era molto
simpatica e diceva che faceva la regista, e dopo due minuti ho capito che me la
dava di corsa e siamo andati a casa mia per stare un attimo rilassati, e dopo
mezz’ora le venivo dentro, ma era proprio una zattera non l’ho manco fatta
dormire, l’ho riportata a casa e tanti vaffanculo pure a lei, questa, non mi
ricordo come si chiamava, o Francesca o Federica una cosa così.
Adesso mi sveglio alla mattina e ho scoperto che meglio
del caffè o del tè o queste cose qua è meglio un po’ di minestra di dado, senza
pastina, proprio così, acqua calda con il dado, dà maggiori sali che sono
necessari alla giornata. E in questo giorno sono più rilassato perché è venerdì
e stasera vado con Alessandro in discoteca, discoteca Padu Padu, fuori Spezia,
per cercare di scoparmi una.
E Passavanti non c’è, è a un convegno non so bene sulla
stampa digitale, sull’editoria print on demand che è un surrogato per chi non
riesce a pubblicare i suoi libri, e quindi lavorare è anche bello, mi metto a
impaginare i biglietti da visita, sbaglio anche a fare una maglietta, dimentico
di stampare l’immagine speculare, così quando la stiro tutte le scritte sono
come viste allo specchio, e me ne frego, voglio dire, non c’è nessuno che mi
controlla, la butto via e vaffanculo Passavanti. Stasera esco, mi dico, e mi
metto d’accordo con Alessandro, partiamo molto presto, vogliamo essere in disco
prima dell’una, davvero, e vabbene.
Antonella basta, non la sento più, ascolto la sera tardi
i suoi messaggi in segreteria che mi dice se ci vediamo sabato e poi messaggi
imbarazzanti in cui telefona e si capisce che ha bisogno di me e parla con la
segreteria, gli racconta i suoi cazzi, ne ho uno in cui dice questa sera vorrei
proprio essere nel tuo letto, esattamente questa frase, e la cosa mi fa schifo
non so perché, tanto che quella notte vado a dormire sul divano guardando la
televisione. Comunque se venerdì notte non scopo, sabato la chiamo.
E il viaggio con Alessandro in discoteca poi è diventata
una cosa che non dimenticherò, poteva essere un’uscita come tante altre, come
quella con Francesca o come si chiamava, e invece è successo quell’incidente
che non ho raccontato ancora. La prima cosa che mi ricordo di quella sera è
quando ci siamo fermati sull’autostrada e c’è Patrizia che scende dalla
macchina e si mette a urlare e siamo soli in macchina. “Ho sonno, sonno di
tutto” dice Patrizia buttando le mani sul guardrail per tenersi in piedi. Quel
metallo grigio coperto di polvere le sporca le mani ma lei non lo vede, non si
accorge di niente, mentre i capelli le finiscono sulla fronte, le coprono il
volto, gli occhi. L’autostrada è tutta illuminata di una luce ed è bagnato, si
è bagnato tutto. I fari elettrici, i neon, formano un sacco di chiazze e io
sono stanco davvero, mi appoggio contro la Corsa cercando nel giubbotto un
pacchetto di Diana blu che Patrizia ha preso all’autogrill. “Ce l’hai tu le
sigarette” le dico dopo essermi infilato le mani in tasca. Fa freddo e Patrizia
si è messa a vomitare, finalmente. “Vuoi un fazzoletto” le ho chiesto allora
per cortesia, visto che di fazzoletti non ne uso, di solito vado in bagno e uso
la carta igienica. E quella muove la testa, si toglie i capelli dalla faccia
per paura di sporcarli e li aggiusta dietro alle orecchie, il naso le si è
gonfiato per lo sforzo ed ora è rosso, aperto, come quello delle bestie.
Patrizia mi piace molto, ha un corpo da modella e mi è simpatica. Il vestito la
copre fino alle cosce e poi si vedono quelle calze a rete nere, molto sensuali,
e le zeppe che l’alzano di qualche centimetro e le stanno bene, davvero, sembra
uno stambecco, sta bene.
Il secondo ricordo che ho di quella sera è proprio di
quelle zeppe, delle sue scarpe nere. Quando l’avevo scopata da dietro le avevo
chiesto di lasciarle, le zeppe, di non toglierle, e Patrizia era in piedi e
ballava per lo sforzo, si sentiva ancora la musica venire dall’altra parte
della porta. Stava bene ed era venuta abbastanza bene, a me faceva un po’ male
la punta. Sembrava uno stambecco e poi, dopo, parlando in macchina mi aveva
raccontato che faceva la panettiera, davvero, ma non mi aveva detto dove.
Dopo che ero venuto avevo anche il mal di testa e volevo
andare a casa, c’era troppo casino. “Dove sono le tue amiche” le avevo chiesto
e quella aveva risposto che le amiche chissà, folleggiavano, aveva urlato e si
era messa a ridere, era un po’ fatta. “Io torno a Spezia” le avevo detto e lei
vabbene, ma non se lo aspettava, non dava a vedere che un po’ ci era rimasta
male. Allora le avevo chiesto di dov’era e lei diceva che era di Arezzo, ma non
Arezzo Arezzo, più verso l’alto. “Cazzo e da Arezzo vieni qua” mi ero messo a
ridere e Patrizia non aveva risposto niente e mi si era buttata addosso, mi si
era attaccata con le braccia sui fianchi e con tutto il peso si sorreggeva
sopra di me. “Se t’ho trovato qua” mi urlava. “Se stavi a Firenze andavo a
Firenze.” Allora avevo pensato, è fatta. E’ tenera ma me la voglio togliere dai
coglioni. “Ti porto io a Firenze” le avevo urlato facendola alzare, ma quella
mi guardava dal basso, sorridendo, e che cazzo mi ci porti a fare a Firenze, mi
diceva, io sono di Arezzo. E allora capisco di aver detto una cazzata e mi
metto a ridere, avevo proprio mal di testa. “Allora ti porto ad Arezzo.” Così
lei mi dice che se la portavo fino a casa mi faceva un pompino in cambio del
passaggio, per la benzina, e che andava a dirlo alle amiche. “Del pompino” le
urlo mentre si allontana. “Del passaggio, stronzo” mi risponde passando una
mano sopra il labbro. Ma poi ritornava indietro, camminando da superba, e mi
chiedeva che macchina avevo. “Una Corsa, una Opel” le ho urlato e lei mi ha
detto che allora vabbene, di aspettarla un attimo. Doveva anche andare al
bagno.
Alla fine si era addormentata mentre alla radio c’era
della roba progressiva, cose della riviera, roba vecchia degli anni novanta che
mi era rimasta in macchina. Casello dopo casello vedevo avvicinarsi Arezzo e
non avevo voglia del pompino, lei era sfatta. Mi immaginavo che le si aprisse
la testa ogni volta che passavo sotto un cavalcavia. Mi vedevo la testa di
questa panettiera, di Patrizia, che si apre di colpo, che si schizza tutto di
rosso, si sporcano i coprisedili, il vetro, e nel tempo che mi fermo di
Patrizia c’è rimasta la fronte aperta, la carne tutta sul reggitesta, la mia
faccia piena di sangue. Il tempo di capire che cazzo è successo e di fermarsi e
sono già lontano. Dal tettuccio sopra si vede il buco, grosso come una mela, un
foro, la lamiera piegata verso l’interno, la stoffa sintetica strappata. Ogni
cavalcavia mi aspettavo che io buttassi la pietra a sfasciarle la testa, mentre
ero ormai quasi ad Arezzo, mancavano due chilometri, quando vedo tutto a
quadretti e sento un male sulla faccia, un vento terribile e sento urlare, e ho
la faccia tutta bagnata e prima che capisco qualche cosa ho un dieci secondi di
buio e sento un colpo, vedo delle scintille, cioè, cambio marcia, scendo di
marcia come un pazzo, non sto capendo un cazzo, ma scalo, scalo e freno e sento
quella che urla, mi giro e la vedo con la faccia piena di sangue che urla e
intanto mi sono fermato, ho messo le frecce di posizione, e lei mi urla che
cazzo è successo e io dico che non lo so, che eravamo quasi ad Arezzo, e poi
vedo che mi sono fatto la fiancata, ho fatto un cento metri di guardrail e dico
cazzo, il parabrezza a pezzi, si è spezzato in blocchettini bianchi di vetro,
ci sono finiti tutti in faccia, e poi alla fine nel sedile dietro vedo quella
pietra, la pietra, che ha fatto anche un buco nella gommapiuma, capito, c’è
passata in mezzo tra me e Patrizia, mentre pensavo a me che tiravo una pietra
qualcuno ci ha tirato una pietra dal cavalcavia, in mezzo, non ci siamo fatti
praticamente un cazzo, solo la faccia tutta tagliata, eravamo due maschere di
sangue.
Col telefonino abbiamo chiamato la polizia subito,
abbiamo detto il numero del cavalcavia, quello marrone, ma erano già scappati,
non li hanno mica beccati, era una pietra grossa. E mentre aspettavamo la
polizia ci siamo messi a parlare, prima dicevamo solo cazzo cazzo cazzo, cose
così, poi visto che la polizia ci metteva un casino ci siamo messi a
cazzeggiare, a dirci delle cose, e lei mi raccontava di sua madre che era
paranoica, delle storie divertenti, e io di Passavanti, del lavoro e di quello
che facevo, e alla fine lei mi dice, ma tu sei scemo, che cazzo ci fai ancora
lì dentro, tu vai a starci male davvero, fisicamente, ma mandali tutti a fare
in culo, ti stanno sfruttando. Così mi dice, queste parole, e io sento che la
amo davvero, che cazzo è vero che Passavanti mi sta sfruttando, e resto ad
ammirarla, con quella faccia a pezzi, con la macchina sfasciata, un freddo cane
e tutto buio intorno, le luci dei lampioni. E ci ho ripensato spesso a quella
sua faccia tutta rovinata che mi dice che mi sfruttano, e gesticola, era
nervosa mica male.
Poi arriva la polizia con due macchine e Patrizia dice ma
che cazzo ci fate con due macchine qua, una potevate mandarla sul cavalcavia, e
loro le rispondono che ci stanno andando e infatti dopo ancora un quarto d’ora
ci va una maccchina, vediamo le luci in lontananza, ma ci dicono in radio che
non c’è nessuno e Patrizia dice, ci credo, è mezz’ora che se ne sono andati, è
un po’ polemica ma ormai mi sono innamorato. E allora la polizia si vede che
anche loro non sanno che cazzo fare, a un certo punto uno dei quattro
poliziotti vede che Patrizia è un po’ bevuta e che continua a rompere e dice
che le fa la prova del palloncino per vedere se non andavamo troppo forte e io
gli dico che ero io che guidavo, non lei, e lui allora dice che allora la fanno
a me la prova del palloncino, e io me la sarei anche fatta fare, non l’avevo
mai fatta era un’esperienza nuova, ma Patrizia si alza e chiede al poliziotto
se per caso non si è rincoglionito, che cazzo, gli avevano tirato un sasso da
un cavalcavia, erano pieni di sangue, che cazzo c’entrava se andavano sparati,
anche ai trenta all’ora un sasso è un sasso e lo prende in mano e lo mostra al
poliziotto, il sasso, e allora che cazzo, e un collega napoletano dice al
poliziotto che minchia di palloncino vuoi fare, chiama l’Aci, il carrattrezzi,
che noi riportiamo la signorina ad Arezzo, e quello del palloncino capisce di
aver detto una cazzata e se ne va, si mette alla radio a chiamare l’Aci.
E qui succede la merda nel senso che la prima macchina
della polizia fa salire Patrizia e dice che la riportano a casa, che ad Arezzo
sono due minuti, e poi vanno in centrale, e l’altra macchina resta con me ad
aspettare il carro attrezzi, che senza parabrezza a Spezia come cazzo ci torno,
e io vedo Patrizia che sale sulla macchina della polizia, barcollando con
quelle zeppe, e le dico, ci vediamo, e lei mi sorride, e mi dice certo che ci
vediamo, e poi partono con le luci blu che lampeggiano, sgommano da cretini e
dopo non li vedo più, resto ad aspettare il carro attrezzi e quando arriva mi portano
via la Opel Corsa e l’Aci mi dà un’auto di cortesia, una Tipo bianca per
tornare a Spezia e io protesto, e poi devo tornare ad Arezzo a riportarla, ma
loro no, dicono la riporti pure a Spezia noi le facciamo arrivare la sua
macchina a Spezia, questo mi sembra un bel servizio e me ne torno a casa e dopo
due ore ci sono, nonostante mi vengano le botte di sonno, posteggio con
quell’auto di merda, la Tipo è un’auto di merda, l’acceleratore stacca in cima
e ho raschiato le marce, cioè quando ti abitui a un’auto tutte le altre ti
sembrano sbagliate, e mi butto nel letto, manco mi spoglio. E la merda di cui
non mi ero reso ancora conto è che di questa Patrizia io non so un cazzo, non
ho il numero del telefonino e non le ho dato il mio, non so dove abita, so solo
che una volta è andata in questa discoteca Padu Padu e che fa la panettiera e
come cazzo la rintraccio, e comunque a queste cose ci penso solo sabato mattina
quando mi sveglia alle nove Antonella per chiedermi se ci vediamo e io le dico,
credo di no, e lei piange.
4.2
Così dopo che m’ha detto tutto Antonella ha iniziato
veramente a starmi sul cazzo, ma non per quello che è successo che ha scopato
con Rossano Simic, mi sta sul cazzo perché adesso ha questo atteggiamento di
coscienza pulita come se s’è scaricata, cioè ha chiavato, me l’ha detto, la sua
parte l’ha fatta, si sente bene, felice con me, si sente che mi ama e io dico
ma che cazzo, non sopporto queste cose tipo una gentilezza enorme mica normale
oppure una gran dolcezza tutta sorrisi bacini, queste cazzate che lei ha solo
perché ha scopato con Rossano Simic e adesso fa tutta la dolce, si sente una
favola perché me l’ha detto, non mi tiene nascosto nulla e per questo si sente
perdonata anche se io non le ho detto un cazzo, a dirla tutta io maschero un
po’ i miei veri sentimenti perché ritengo sia giusto così ma cazzo, un po’ di
consapevolezza anche da parte sua, vorrei che fosse adulta, si è rivelata una
bambina del cazzo, una viziata, insomma una che ha tutto pronto nella vita, la
pappa pronta come si dice, a me questo non mi va giù. E stiamo fuori il sabato
pomeriggio ai giardini, pigliamo il gelato e intanto che Antonella parla,
sorride, fa tutta la carina, io penso meglio a questa cosa, traggo le mie
conclusioni, insomma dopo aver fatto i ragionamenti necessari concludo che lei
non c’entra un cazzo, o meglio lei non ha colpa, alla fine è solo una donna,
lei non c’entra niente, se non era per quell’infame bastardo rottinculo di
Rossano Simic che la rovinava tutto questo cambiamento che lei ora mi sta sul
cazzo io non l’avrei visto, ecco, tutto sarebbe rimasto normale, quel bastardo
non si rende conto di cos’ha fatto scopando con Antonella e anche lei pensa di
aver fatto solo una scopata, ma io me ne frego della scopata, devono capire che
non è la cosa importante, una scopata non conta un cazzo, il problema è quello
che viene dopo, se lei fosse stata capace di scopare e basta a me non me ne
fregava un cazzo, ma non può diventare così, è proprio caratterialmente
infantile è questo il problema, non ti puoi scaricare la coscienza così,
passarci sopra in questo modo di merda senza renderti conto che a me fa
soffrire, a me sta sul cazzo tutto questo, non puoi non vederlo. Antonella
infatti se ne accorge che c’è qualcosa e mi fa, cosa c’è, qualcosa non va, si
vede che non pensa minimamente alla scopata, a Rossano Simic, mentre io guardo
il gelato che ho in mano e mi viene in mente il suo cazzo che non ho mai visto,
mi viene in mente il cazzo di Rossano Simic, non posso avere questo incubo,
pensare al cazzo di Rossano Simic mentre mangio il gelato non è possibile, e lo
dico ad Antonella. Antonella ci rimane male, mi fa sentire come se stessi
esagerando e la cosa mi fa ancora più incazzare finché la faccio piangere, non
volevo, allora la consolo, ma non volevo nemmeno consolarla, però lo faccio
comunque, e intanto che le asciugo le lacrime mi viene in mente un’idea chiara
e precisa che dico ad Antonella così, “bisogna che vado a Milano.” Lei piange
di più e dice, “cosa dici che ci vai a fare a Milano” e io dico “bisogna che
vedo questo Rossano Simic, che vedo il suo cazzo” al che Antonella si mette a
ridere come una pazza isterica, dice che sono ridicolo, che queste che dico
sono tutte cazzate, “non capisci” insisto io calmo tranquillo perché quando sei
nel giusto sei sempre calmo e tranquillo, “non capisci, si può ancora rimediare
se vedo il suo cazzo senza dirgli niente, andare lì calargli le mutande i boxer
firmati dello stronzo e guardargli il cazzo, poi guardarlo negli occhi e andare
via, così basta” spiego e mi viene persino da sorridere. Antonella continua a
piangere, butta via il gelato sciolto, lo butta per terra. La consolo un po’,
lascio cadere l’argomento di Milano e la cosa per il momento finsice così.
Il weekend prendo l’intercity per Milano, la mattina
provo a chiamare Antonella ma ha il cellulare spento, meglio così, così le
mando un sms con scritto “sto andando a Milano torno presto non preoccuparti” e
poi stacco il cellulare e lo lascio staccato così non mi può contattare,
riempire la testa delle sue cazzate, e con i pensieri tutti confusi in testa
arrivo a Milano per pranzo, mi ficco in un McDonald’s e mangio tantissimo fino
a farmi venire mal di pancia, prendo anche il Sundae e il McFurry con gli
Smarties finché sono costretto ad andare a cacare nel cesso del McDonald’s, la
merda mi distrae un po’ dai miei pensieri che mi fanno venire il mal di testa,
meglio il mal di pancia che il mal di testa, io ho paura quando ho il mal di
testa. Dopo avere cacato vado a sedermi davanti alla stazione centrale di
Milano in mezzo a tutti i tunisini albanesi, i drogati, e mi metto un po’ a
pensare razionalmente o almeno ci provo, prima cosa come lo trovo io lo
stronzo, sull’elenco di Milano non c’è nessun Simic, Rossano Simic poi sarà il
suo vero nome mi puzza dev’essere uno pseudonimo, un nome d’arte, Antonella ha
detto che è un fotografo, potrei andare all’agenzia dov’è stata lei per quel
cazzo di show room, lì sicuramente lo conoscono, però non mi sembro troppo
convinto, sono onesto con me stesso, non sono sicuro di far bene, vado lì e poi
cosa faccio, chiedo di lui e vado a casa sua, mi visualizzo la scena e mi sento
un po’ meglio, mi vedo mentre vado lì con la faccia dura incazzata tipo un film
tipo un detective, chiedo se Rossano Simic lavora lì, dove posso trovarlo,
dov’è l’indirizzo del suo studio, la sua abitazione, tipo investigatore
privato, mi daranno le informazioni, non avranno il coraggio di chiedermi che
cosa voglio da Rossano Simic, penseranno sono cazzi suoi, cazzi di Rossano
Simic che gente losca lo viene a cercare per chissà quali casini, droga, mafia,
chissà che cazzo ha in ballo quel drogato di merda cocainomane, mi daranno le
informazioni ansiosi di farmi togliere dai piedi e mi immagino sull’autobus o
in taxi per andare là da Rossano Simic e io che suono alla sua porta, vedermelo
davanti, non so cosa farò, mi sento tremare e questo mi fa sentire meglio, sono
ancora confuso ma deciso ad andare avanti verso il giusto, a proseguire quel
che ho da fare, fare tutto, e vado all’agenzia che è il tramonto a Milano, il
tramonto a Milano fa schifo, come cazzo fai a scopare in questa città, come
cazzo fai a vivere a respirare, al tramonto è tutto giallastro sporco e vedi lo
smog, il fumo ovunque, una puzza di traffico di piscia su tutto il cemento che
vedi, le facce della gente con delle facce di merda, mi dico come cazzo fai a
scopare qua, fa schifo, e arrivo all’agenzia col sole che scende, una scena
molto da film come le sigle di quando finisce, l’eroe se ne va al tramonto col
sole rosso, solo che qui è l’inizio, altroché, l’inizio e non la fine come le
sigle.
C’è una segretaria fica vestita da puttana come sempre in
quei posti, quelle agenzie, immagino che Rossano Simic ha scopato sicuramente anche
questa puttana, ha i capelli rossi, mi fa schifo anche se me lo fa venire duro,
mentre sorrido chiedo il nominativo dell’infame, l’indirizzo dello studio, e
penso a lei segretaria a pecora sulla scrivania, che glielo metto nel culo e la
faccio godere mentre mi dà le informazioni con un sorriso da troia, mi dà
l’indirizzo dello studio fotografico di Rossano Simic, e ho la soddisfazione di
non risponderle quando mi chiede chi sono, perché ho bisogno di Rossano Simic,
faccio un sorriso misterioso, come un attore, e vado via, la lascio lì che mi
guarda, e penso ti piacerebbe eh ti piacerebbe troia, mi accorgo di avere un
nervoso addosso incredibile, sono incazzato nero, e vado là in taxi.
A questo punto devo aprire una parentesi di un libro che
ho letto, io ho letto poco nella mia vita, quasi niente, specie di libri seri
ne ho letti pochissimi, due o tre, però uno di quelli era il romanzo di un
russo che parla di un delitto, e c’era questo ragazzo, questo tipo, che ne
sapeva un casino, un tipo intelligente di cultura, non come me però era tipo
come me a livello di ragionamenti, mentalità, e questo tizio uccideva una
vecchia troia perché dimostrava con dei ragionamenti con la logica che era
giusto ucciderla, e a me mi viene in mente questa trama mentre in taxi vado
allo studio dello stronzo, penso che è come quel libro russo che se io uccido
Rossano Simic non è un peccato, io faccio un favore al mondo, bisogna che
qualcuno prenda il coraggio di liberare il mondo dagli stronzi come Rossano
Simic, e questo lo posso fare io perché non sono scemo come tutti gli altri,
non ho gli occhi foderati di prosciutto, io sono come quel tipo del libro e
capisco le cose, capisco cosa è giusto o sbagliato a seconda dei casi, e in
questo caso non ho ombra di dubbio sul fatto che uccidere quella merda è
giusto, giustissimo. Allora quando arrivo allo studio del pidocchio sto fermo
in taxi per un po’, poi penso che qualcuno s’insospettisce, si ricorda che
c’era un taxi fermo davanti allo studio dello stronzo, allora mando via il taxi
e sto lì, c’è una baracchina dei gelati dove prendo una granita, poi mi pento
perché il tizio della baracchina si ricorderà di me che ho preso la granita, mi
si confonde il cervello non sono fatto per un delitto io mi cago addosso, però
poi mi tranquillizzo perché mi ricordo che anche il tizio del libro si cagava
addosso, si confonde, però quando arriva al sodo finisce sempre per fare le
cose per bene e non sgarra un cazzo, subito dopo di nuovo mi assalgono i dubbi
perché il libro non mi ricordo più come finiva ma mi sembra che finiva male,
tipo che lui confessava, non ce la faceva più, ma io non farò questo errore,
lui confessava perché la vecchia che aveva ucciso l’aveva uccisa a caso, mentre
io Rossano Simic ce l’ho un motivo personale per ucciderlo, cioè oltre a un
favore a tutta l’umanità io lo faccio anche per un motivo concreto e non solo
filosofico morale.
Durante tutti questi miei pensieri e agitazioni si fa
sera e vedo che il bastardo non esce dallo studio, ho individuato le finestre
del terzo piano e non s’accende neanche la luce, mi sembrava di aver visto del
movimento ma forse m’ero sbagliato, non era nello studio ed ero stato due ore
davanti a uno studio dove non c’era nessuno, e inizio a sentirmi strano. Di
colpo così a un tratto arriva un’ambulanza e subito mi sento in colpa, tremo,
mi cago addosso e mi metto a pensare che ancora io non gli ho fatto un cazzo a
Rossano Simic, l’ambulanza deve arrivare dopo non prima, deve arrivare dopo che
è morto, non capisco cosa sta succedendo, poi mi rendo conto che io non c’entro
niente, sono innocente, allora mi avvicino, vedo gli infermieri che escono
dall’ambulanza di corsa, qualcuno apre il portone del palazzo, vedo che salgono
le scale e mi metto lì imbarazzato, saltello da un piede all’altro, faccio finta
di niente, finché gli infermieri scendono giù con la barella uno davanti uno
dietro, un tipo steso sopra la barella e mi avvicino, nessuno bada a me, mi
avvicino per vedere il tipo sulla barella con un presentimento strano e quando
lo vedo in faccia capisco che è lui, è Rossano Simic, lo stronzo, con la faccia
a pezzi, gli occhi neri, la schiuma nella bocca e tutto il sangue nel naso e
nella bocca, non capisco cos’è successo, mi sento tutto scombussolato, prima
che capisca qualcosa o che mi rendo conto gli infermieri sono saliti
sull’ambulanza e partono a razzo con le sirene il casino e tutto. Lì giù dal
portone c’è rimasta una vecchia milanese con la faccia piena di bolle. “Quello
era il fotografo Simic” dico così per dire perché tanto lo so già, ma devo
essere proprio sicuro, e infatti la vecchia mi dice di sì, che lo sapeva che
andava a finire così, era un drogato, era sempre strafatto di cocaina, lo
sapeva che prima o poi finiva così, si stupiva che non era ancora successo con
tutta quella merda che prendeva. E allora giro per Milano come un coglione,
senza sapere bene cosa pensare, senza chiamare Antonella né accendere il
cellulare perché se mi chiama non so cosa le dico, non so neanche se mi sento
bene o male, e finisco per andare a letto in una pensione topaia mezza stella
in una stanza che puzza di vomito, ma non dormo un cazzo, e il giorno dopo alle
sette di mattina sono già vestito di tutto punto in un bar a bere un cappuccino
dopo l’altro con gli occhi che mi bruciano, e mangio anche tantissime paste
salate, spendo quasi quindici euro, poi compro il giornale e là, in un articolo
nella cronaca di Milano lo vedo lo stronzo, Rossano Simic, muore Simic il
fotografo overdose c’è scritto, e leggo l’articolo, c’è una foto del bastardo
che non c’entra un cazzo come l’avevo visto io che stava crepando ma è
comprensibile, e c’è anche una foto di un suo servizio, aveva fatto dei servizi
importanti per Prada, La Perla e altri marchi famosi ed era molto conosciuto a
Milano così com’era conosciuta la sua passione per la cocaina e per la fica, lo
stronzo aveva anche scopato Antonella, ancora non mi capacitavo, non avevo
visto il suo cazzo, mi sono messo a pensare per l’ultima volta al suo cazzo, e
non l’avevo ucciso, era morto, non sapeva nemmeno chi ero io, non l’avevo
conosciuto lui che aveva scopato Antonella. Questa cosa mi sembrava proprio un
libro stavolta, un libro che potevo scrivere, meglio ancora di quello del
russo, lui era morto perché dunque era destino che doveva morire, e quindi era
giusto che lo uccidevo io, ma il destino me l’ha impedito, m’ha risparmiato di
dover agire con le mie mani, mi ha mostrato la giustizia, tuttavia ero ancora
scosso, confuso, non avevo voglia di tornare da Antonella e da Passavanti e
tutte le cose normali, lo strano è che sentivo questa cosa come se fosse un
fatto mio che non c’entrava un cazzo con Antonella, non c’entrava un cazzo che
Rossano Simic aveva scopato Antonella, dovevo stare da solo, riflettere ancora,
mi sentivo come se stessi per capire delle cose, allora ho pensato che potevo
trattenermi un po’ a Milano anche se mi faceva schifo, sentivo che il destino
mi voleva lì a Milano ancora, e siccome avevo sonno perché non avevo dormito un
cazzo ho pensato di tornare a dormire nella topaia tutto il pomeriggio, poi magari
la sera andavo a vedere un film.
5.1
E così passo due settimane da schifo, da Passavanti non
faccio più un cazzo, chiamo sempre la polizia di Arezzo per sapere l’indirizzo
di Patrizia, ma quelli prima mi dicono che le informazioni di quel tipo non le possono
dare, poi mi dicono che non sanno chi erano gli agenti in servizio quella sera,
e poi parlo con il napoletano che è scazzato, mi fa merda, e mi dice che la
tipa se la ricorda, che lei aveva chiesto che la lasciassero in una piazza di
Arezzo, che non voleva che i suoi la vedessero tornare con la polizia, che
aveva la madre ansiosa che le veniva un colpo se la vedeva scendere da una
macchina della polizia, e così se n’era andata a piedi, e io m’incazzo, gli
dico e voi avete lasciato alle cinque del mattino una ragazza per strada così,
e quello mi dice che erano le sei, c’era il mercato ed era pieno di gente che
preparava i banchetti delle verdure, e io gli dico ancora due cose, ma capisco
che a lui non gliene frega un cazzo e poi mi butta giù e finita lì.
Allora prendo ad andare in questa discoteca, tutte le
sere appena finisco da Passavanti mangio in autogrill, Padu Padu, ci vado anche
quando è chiusa e anche quando una sera alla settimana fanno ballo liscio con
l’orchestra di Massimo e Marcella e fanno le mazurke, le polke, i valzer lenti
e anche qualche canzone giovane come il ballo del qua qua, ma solo a fine
serata per i bambini e i ragazzini che non sanno ballare. E ci torno anche
sabato sera con Alessandro ma Patrizia non c’è, non la vedo, cerco di
ricordarmi com’erano fatte le sue amiche, ma mi ricordo solo che avevano dei
piercing, delle zeppe, delle minigonne, sono tutte uguali in discoteca e mi
viene il dubbio che Patrizia sia lì e io non la riconosco, perché l’ho vista
solo una volta tutto sommato e per metà con la faccia distrutta, e lei magari
mi cerca e non mi riconosce neanche lei per gli stessi miei motivi, e penso che
mi sarei dovuto vestire in maniera strana, ma non adesso, la prima volta, e
passa un mese buono che sembra tanto ma sono solo quattro sabati. E ci ritorno
i giorni di chiusura per scrupolo, metti che anche lei non sa quando la
discoteca è chiusa, metti che viene proprio il giovedì e trova tutto chiuso e
pensa che la discoteca ha chiuso per sempre e decide di non tornare mai più al
Padu Padu, invece ci sono io, seduto fuori che mi succhio una cosa che la
racconto dopo e aspetto tutta la notte, prima di tornare a lavorare da
Passavanti.
E chiamo anche i giornali se mi vogliono intervistare,
che mi era finito un sasso in macchina voglio dire, ma alla tv mi dicono di
lasciare il numero e non mi ritelefona nessuno, comunque molto cortesi, ci
sanno fare, mentre il giornalista della Nazione che è un giornale che a Spezia
tira molto ma anche ad Arezzo mi dice che l’altro ieri ne è morto uno, una
sassata nel cranio, ha sbandato ed è finito nell’altra corsia, poteva essere
una strage ma alle quattro di notte non c’era un cazzo di nessuno, e quindi io
che sono sopravvissuto non è molto importante, ma comunque se gli lascio i dati
lo mette come spalla e io il giorno dopo compro la Nazione e in effetti il tipo
della Nazione è stato onesto, c’è un trafiletto che dice che era già successo
la settimana scorsa, per la verità erano tre settimane ma pazienza, e c’è il
mio nome e cognome e c’è scritto che viaggiavo con un’amica chiamata Patrizia
di Arezzo, ma non ha scritto che voglio mettermi in comunicazione con lei,
comunque c’è il mio nome e cognome, voglio dire è già qualcosa, ma non succede
niente, non mi chiama nessuno. E continuo ad andare al Padu Padu, mi riempio le
tasche di dadi e resto lì all’ingresso e me li succhio piano piano, sono ricchi
di sale ho scoperto, e così vado avanti.
Intanto sul lavoro non ho un cazzo di voglia, e il
quindici del mese dico a Passavanti che ho bisogno degli ottocento euro che
ancora non me li ha dati, e lui dice ma come, mia moglie non t’ha dato
l’assegno, è stupito, adesso ci pensa lui, e mi compila un assegno da seicento
euro. E io dico, ma non mi aveva detto ottocento, ci rimango di merda, davvero,
e lui mi dice che se mi avesse assunto mi avrebbe dato ottocento, ma siccome io
sono in nero e non deve pagare tasse e ritenute d’acconto mi dà seicento che
comunque quei soldi non li avrei visti, erano per le tasse, e io non dico
niente, mi prendo l’assegno e decido che l’ammazzo. Così con chiarezza, prendo
l’assegno e gli sorrido, e penso che l’ammazzo e inizio a stabilire come. Batto
i tasti al Mac e decido che quando l’ammazzo mi tengo le ossa, ci faccio il
bollito, mi bevo il bollito di Passavanti e ci aggiungo dei dadi, per
sicurezza, che danno sapore.
E penso cose di questo tipo che se l’ammazzassi in casa
mia sarebbe tutto molto più semplice, perché potrei inseguirlo per un po’,
colpirlo anche ripetute volte, e se mi sporcassi di sangue, a seconda di quello
che userei per ammazzarlo, potrei farmi una doccia, pulire tutta la casa per
bene, e poi il cadavere lo nascondo in una vecchia cisterna che c’è sotto il
pavimento del mio salotto, che non lo sa nessuno, non c’è neppure nella mappa
catastale. Di sotto poi lo spoglierei e inizierei a tagliarlo a pezzi, mi
prenderei un coltello da macellaio, non credo mi beccherebbero, magari lo
compro in periferia, magari mi metto un cappello di lana, mi lascio crescere un
po’ di barba, e poi pezzo per pezzo lo bollisco per il brodo e la carne la do a
Bell, che penso mi farebbe schifo mangiarlo il Passavanti, mentre Bell mangia
di tutto. Ma a questo punto ci penso meglio e mi rendo conto che se facessi
così dopo due tre giorni ho tutta la casa che mi puzza di morto e Passavanti si
riempirebbe di bestie, mi tornerebbero i topi, la cisterna è umidissima, piena
di insetti, uno schifo, non funzionerebbe. Mi servirebbe un congelatore, ma la
botola per scendere di sotto è microscopica, ci passo appena appena io, non è
possibile, e poi il filo della luce dove lo faccio passare, allora penso che
potrei metterlo in una vasca e ogni mattina ci metto un sacco di ghiaccio così
regge fino a sera, ma poi mi dico che una vasca non ci passa lo stesso, risolvo
il problema del filo, ma una vasca non ci passa, allora mi vengono in mente le
piscine gonfiabili, potrei metterlo nella piscina gonfiabile di Solletico, un
programma tv che ha fatto anche le piscine di plastica per bambini, la porto di
sotto sgonfiata e poi la gonfio e ci butto il ghiaccio, questa è la meno
peggio. Reggerà fino a sera, fosse estate no, ma adesso è freschetto, si
potrebbe provare, poi mi chiedo quanto ci vorrà per far bollire Passavanti e
per mangiarselo, facciamo un arto al giorno, uno braccio, due braccio, tre
gamba, quattro gamba, cinque testa e anche il pene che sarà piccolo da morto, e
facciamo tre giorni per il busto, otto in tutto, otto giorni sono davvero
tanti, mi verranno in casa a controllare e le ossa dove le butto, se le do a
Bell lui le sgranocchia ma ci vuole del tempo e il teschio, quello non lo
sgranocchia, è troppo grosso, ci devo pensare, il teschio è un problema,
comunque la piscina di Solletico ce l’ho già.
E poi penso eh sì, ma Passavanti non verrà mai a casa
mia, figurati, e perché mai, non avrei mai una scusa buona da farlo venire a
casa mia, devo ammazzarlo per strada o in ufficio. E mentre penso queste cose
capisco che ammazzare il proprio datore di lavoro e mangiarlo bollito è un
casino, davvero un problema, e mentre penso queste cose lo guardo, Passavanti,
e cerco di capire quanto pesa, mi faccio i pensieri di quanta carne darei al
cane, insomma, mi faccio un po’ di conti in tasca.
A casa le solite telefonate di Antonella. Ma non dice
niente di nuovo, è passato un mese e mi dice sempre con la stessa voce se ci
vediamo sabato o domenica, me lo chiede.
Adesso mangio alla sera il pane con sopra spalmato il
Liebig, anche questo per darmi forza, e in effetti mi sento meglio, sono più
preciso nelle cose che faccio, ad esempio oggi mi sono comprato un coltello da
cucina e ho buttato nel buio la piscina di Solletico. Mi è arrivata una zaffata
d’aria di chiuso e di umidità, mi sembrava di essere sottoterra, ed ero solo
nel mio salotto. Ecco, forse per questo penso ad Antonella, credo che Antonella
sarebbe felicissima di quel buco in salotto, mi chiederebbe hai un buco in
salotto, posso vederlo, e io le direi certo, guarda pure, e poi mentre è sul
bordo la spingerei di sotto, mica tanto, saranno due tre metri scarsi, si
slogherebbe una caviglia, mettiamo che si rompe una gamba e che si spacchi il
labbro picchiando contro l’apertura, direi che è un buon preventivo. Allora io
scenderei e la legherei al letto, non c’è nessun letto, non saprei come farcelo
entrare, ma è una fantasia, quindi immaginare per immaginare c’è un letto, l’ho
fatto passare trave a trave e poi l’ho rimontato sotto con i chiodi, ecco, e la
rete, non c’è rete, il materasso poggia sulle travi, e il materasso, non c’è
materasso, Antonella è costretta contro il legno, ancora meglio, allora la legherei
nel buio, metterei due candele, con quell’odore di tomba, e la imbavaglierei,
lei urlerebbe, non credo, gemerebbe per il male questo sì. Comunque la
imbavaglierei, o meglio le metterei quelle palline in bocca da cose erotiche,
quelle delle geishe, e la benderei, poi la metterei di schiena e glielo
metterei dentro, le verrei dentro da dietro, mentre lei piange per la gamba
spezzata che picchia contro il tavolo, che si scontra contro la mia gamba,
mentre il sangue dal labbro le scende sul collo, e questo è il primo giorno. La
farei mangiare poco, così è più stanca e accetta meglio le cose la sera, le
toglierei le palline e le darei del brodo di dado, energetico. Dal secondo
giorno le direi che se mi fa un pompino forse tra qualche settimana, se si
comporta bene, se trova il suo spazio di donna, magari la faccio uscire, che è
anche nel mio interesse che lei stia sopra, nel salotto. E avrei paura che con
un morso me lo stacchi, che è l’unica sua forma di ribellione, ma quella ci
starebbe, spererebbe di migliorare la sua condizione e io le verrei in bocca
finalmente per un sacco di volte e alla fine le direi, la tua cena stasera te
la sei bevuta, e per quella sera la lascerei in bianco, solo sperma, che è
salato come il dado in fin dei conti. E qui potrebbe già essere passata una
settimana. Poi la gamba si sarebbe incancrenita, dovrei tagliarla come “Misery
non deve morire” e io le sezionerei la gamba, anzi tutt’e due come nel film “Lo
zoo di Venere”, un film erotico noioso, le lascerei due moncherini e me la scoperei
senza gambe, dev’essere una cosa deliziosa, molto più comodo. Cicatrizzerei
tutto con il fuoco, lei sverrebbe ma poi io la curo, sarei pieno d’amore con
lei legata al letto, con i due moncherini, e mentre sviene le verrei addosso,
così, tanto per tenermi in allenamento. Alla fine salirei di sopra sempre meno,
starei con lei sempre, sepolto con lei in quella tomba umida, mi verrebbero dei
malori alle ossa, pazienza, mangerei la carne sua, delle cose che le taglio e
di Passavanti, quello che era rimasto nel frigo. Potrei andare avanti per un
mese buono, io mangio poco, dormirei con lei, sopra di lei, legata e bendata,
con la palla nella bocca. Lei sarebbe felice ne sono certo, comunque queste
sono fantasie ne faccio tante.
Poi verso fine mese cerco di concretizzare almeno il
progetto Passavanti e metto in secondo piano il progetto Antonella, e faccio il
piano che mi fermo a fare straordinario fino alle undici, fino a mezzanotte se
necessario, lascio perdere Patrizia, Patrizia non la incontrerò mai, non ricordo
nemmeno la sua faccia, non ricordo nemmeno se veramente mi piaceva, Patrizia
per me è morta, siamo morti, pace all’anima nostra. Ho deciso di farlo domani
che è venerdì, a mezzanotte fisso che Alessandro se n’è andato mentre
Passavanti si fermerebbe per controllarmi, per umiliarmi, e io alle undici,
tipo, prendo il monitor da ventun pollici che pesa un casino e dico che lo
sposto dalle diapositive, ne abbiamo solo uno grosso, dobbiamo fare sempre
questo andirivieni, e lui, Passavanti, non mi risponderà neppure, e io quando
ho il monitor sopra la sua testa lo mollo di colpo e faccio un salto indietro,
fisso che se non crepa ci sviene di brutto, gli si spezza l’osso del collo, e
io ho la macchina nel posteggio della ditta e lo chiudo nei sacchi della spazzatura
che in una ditta sono enormi, ci sta un casino di carta, ci sta anche il corpo
di Passavanti, e alle undici il posteggio è chiuso, è impossibile essere visti,
lo carico sopra la Corsa, ho già buttato giù i sedili dietro, copro tutto con
un telo, chiudo tutto l’ufficio, non dovrei neanche fare tanto sangue, e me ne
torno a casa. Lì guardo se è ancora vivo, se lo è lo ammazzo con un cuscino,
cerco di sporcare il meno possibile, casa mia è per i cazzi suoi, c’è solo la
pecora che di notte mangia ed è stupita di quello che vede intorno, non capisce
un cazzo, se è già morto tanto meglio, lo butto di sotto, ho già gonfiato la
piscinetta e ho tutto il frigo pieno di quei cosini di plastica quadrati da
metterci l’acqua, lo riempio di ghiaccio. Avevo pensato anche al sale e pensavo
di mettere tutt’e due, per sicurezza, ma poi mi sono ricordato che il sale
scioglie il ghiaccio e viceversa e dovendo scegliere mi dà più sicurezza di
buon odore il ghiaccio. E sarebbe fatta, avrei messo giustizia nella mia vita.
Tutte queste cose di Passavanti e Antonella le penso con
il cappello di Archimede Pitagorico che mi dà ottimi piani davvero, tant’è vero
che mi mette anche i bastoni fra le ruote, infatti, quando sono già pronto il
cappello mi dice e sì, bravo, e il monitor da ventun pollici come lo
giustifichi, cioè, è sicuro che si sfascia, Alessandro potrebbe fiutare
qualcosa, e poi mi dice anche e sì, bravo, il ghiaccio alla sera si è sciolto e
tu lasci Passavanti per un giorno all’umido in una pozza d’acqua e ti marcisce
davvero subito. Ma mi dico che se continuo a congetturare e pensare e
ricostruire rischio di uscire di testa, è meglio ammazzarlo e poi vediamo, e
così domani mattina è il grande giorno, decido, quasi quasi non riesco ad
addormentarmi, sono troppo magico.
5.2
Torno con tutta la testa piena di pensieri strani che non
ho mai fatto, è una situazione nuova per me, ma poi mi vedo solo stanco morto,
distrutto, mi viene da chiedermi perché, ma perché cosa, cioè tutta la mia
conoscenza con Antonella e il Simic quello che dovrei capire, insomma come si
vede sono molto confuso, con Antonella si riparte imbarazzati, voglio dire lei
normale non sa niente, io sono imbarazzato e mi vergogno molto, non so di cosa
o perché, non so come vorrei raccontare tutta la storia a lei, Antonella, ma
poi è diverso se glielo dico, non glielo dico bene, non faccio capire niente
perché prima di tutto non sono bravo a parlare, secondo che le dico? allora sto
molto zitto imbarazzato, posso sembrare goffo è così che mi sento, goffo, con Antonella
uscendo dal pub eccetera, e scopando non ne parliamo: ho provato, già veniva
male con questo mio senso di imbarazzo vergogna, però me la cavavo, ce l’avevo
molto duro all’inizio, poi però mi sono fermato per non venirle dentro e così
ha detto, “Veniamo insieme masturbandoci” e io ho detto che ero d’accordo anche
se preferivo venirle in faccia, ma tant’è, e ci siamo sdraiati fianco a fianco
lei masturbandosi e io mi facevo una sega, e in quel momento lì mi s’è
ammosciato, ero tutto sudato facevo pena, smanettavo come un cretino col cazzo
sempre più moscio, Antonella che mi diceva “allora ci sei, vengo amore, sto per
venire” e io imbarazzatissimo impacciato disperato, “Arrivo aspetta un attimo”
biascicavo e poi mi veniva da ridere o forse da piangere quando ho detto, tu
intanto vieni che a me ci vuole un po’, e lì se n’è accorta che c’era qualcosa
e ha iniziato a menarmelo lei con le mani, un po’ con la destra e un po’ con la
sinistra che le veniva male al polso, ma io niente, continuavo a pensare alla
mia mente, Simic all’ospedale, gente in fin di vita che non c’entrava un cazzo,
né Simic né Antonella, io come visto dall’esterno, sembravo un drogato e di
venire figuriamoci, godere, l’orgasmo, non se ne parlava proprio, così ho detto
ad Antonella che vabbè era lo stesso, che lasciasse perdere, ma non ero
frustrato, mi sembrava di provare cose molto più importanti, non ultimo ho
scoperto che ero anche incazzato negro con Antonella. Infine l’ho mollata dopo
averle detto in modo confusionario delirante la storia di me che ero andato a
Milano e quello che avevo capito vedendo Simic, m’era passata tutta
l’incazzatura quando l’ho mollata e anche se lei non ha pianto si incazzava
lei, era il suo modo per non farsi vedere piangere, “Mi lasci così come una
merda” ha detto, al punto che non riuscivo a parlare bene, trovare frasi adatte
da dire, così non ho detto niente, rimasto zitto fumando come un attore di un
film mentre lei si lamentava, non capivo cosa diceva, mi ronzavano le orecchie.
Non l’ho neanche accompagnata a casa e me ne sono andato da solo all’Irish Pub
dove ho bevuto tre Guinness, due Harp Strong, due Tennent’s Scotch Ale e
dopodiché non mi ricordo più con chi ho fatto conoscenza, comunque non una
donna, non ho trovato da scopare, anche se adesso dovrei fare questi
esperimenti perché non so se è il motivo di Antonella oppure con tutte. Certo è
che non è roba da ridere, queste cose che vivo, questa vita non sono
bruscolini, non sono cazzate, sono tutte cose più grandi di noi che ci
soffocano, ho tentato di dirlo ad Antonella quando l’ho mollata ma niente, lei
non c’è più, mi ricordavo i suoi occhi quando l’avevo conosciuta e mi
riscoprivo come allo specchio, era come diventata vuota e non aveva capito un
cazzo, anch’io avevo sbagliato forse, certo, ma chi può dirlo, è come nel film
è questo il problema che la colpa non è di nessuno, è colpa mia, è colpa sua, è
colpa tua, di chi cazzo è la colpa, nessuno lo sa dire perché io da Simic ho
capito una cosa: non è colpa di nessuno, finisce così da solo e basta, almeno
credo.
E ho scoperto il cinema che non ci andavo mai, o con
Antonella andavamo a vedere “Bodyguards” o “Fast and furious”, mai film che
ricalcavano la vita reale e le esperienze importanti che uno fa, ho scoperto il
cinema perché frequentando l’Irish Pub conoscevo studenti di cinema che
andavano al cinema a vedere film seri, bisogna avere il tesserino universitario
ma non c’è problema, basta che gli dici che sei studente e loro ti danno la
tessera e così l’ho fatta anch’io, ma preferisco andarci da solo, come quando a
Milano sono andato ed ero diverso da adesso. Tutto questo rumore mi fa
impazzire. Adesso devo dire, bisogna che dico dell’ultima sera perché non
voglio più sentire questo casino inferno, e quindi dico: non è servito a niente
che sono andato da Simic o che ho lasciato Antonella perché era meglio prima, e
un attore molto importante in un film ha detto, “Non si torna indietro”, e
penso che ha molto ragione e ho anche cercato di nuovo Antonella per dirglielo,
ma lei lo sapeva già e m’ha mandato affanculo, comunque questo non volevo dirlo
adesso, pazienza ormai l’ho detto, è iniziato che ho mangiato in casa da solo,
molte salsicce con tante patate, poi ho bevuto whisky nella poltrona come boh,
quindi sono andato nel pub dove ho visto diverse persone che avevo appena
conosciuto, cioè non conoscevo, quelli dei tesserini dei film, e siamo andati
proprio la sera dopo, ma era come una sera unica nella mia testa, non so
spiegare non so se si capisce, a vedere il film al cinema, non so com’è perché l’ho
visto, forse ero un po’ ubriaco, fatto sta che penso proprio a quello che farò
tornato a casa: non l’ho fatto perché non mi ricordavo, avevo in mente di fare
una doccia bollente lunghissima e mi sono addormentato sotto l’acqua che
scendeva come il diluvio piccolo, senza barca, e mi sembrava di annegare, e non
so se il mattino dopo mi sono svegliato. Alcuni dicono che sono più forte, io a
volte ci credo, ma altre volte penso di leggere dei libri perché mancano le
parole per dire quello che ho già detto.
5.1.1
Allora è questo sabato che sono magico e sono pronto a
tutto, ho preparato quasi tutto e sono calmo, faccio un lavoro al computer,
molto tranquillo, uso Freehand, faccio dei vettori, sono caldo e stasera
ammazzerò Passavanti, sono tranquillo fino alle sette, poi alle sette ho fame,
è sera, c’è freddo e Passavanti mi sembra gelido, distante, tutto è immobile,
non posso mica ammazzarlo a stomaco vuoto penso, e dico, vado un attimo a
prendere qualcosa da mangiare, e Passavanti mi dice di sbrigarmi, che poi ci va
lui, e io esco e mi vedo con due occhi così e vado in un bar e prendo del
caffè, ci butto dentro quello che ci butto di solito, bevo quel sapore di
salato, di morte, di carne in decomposizione, e faccio per tornare indietro e
passo davanti al cinema che sta per fare il primo spettacolo, un cinema finto,
quelli per gli studenti, fanno film noiosi che non si capiscono, film vecchi
non aggiornati, cose di questo tipo, e io sono lì davanti e sto per andare ad
ammazzarlo e mi vedo che entro nel cinema, compro il biglietto e scrivo anche i
miei dati per la tessera, e solo quando sono seduto e parte il film io capisco
che Passavanti non l’ammazzo, che non sono capace di ammazzarlo, che sono
sprofondato in quella poltrona e vedo un film vecchissimo in bianco e nero, e
vedo questo principe russo che gli rovesciano una pentola carica di monete
addosso, lo reificano, e io mi vorrei sentire bello come lui anche se a ben
pensarci l’attore ormai sarà morto e rimorto. Non riesco a fare altro, vado
avanti a braccio, resto lì e guardo tutto questo film e penso a Passavanti che
mi starà aspettando per la cena, che sarà pure incazzato e io credo che sia
tutto finito, che non ci posso fare niente.
Così esco e penso ai pompini di
Antonella, penso a tutti quelli che mi ha fatto e che mi farebbe se vivessimo
assieme, penso a Passavanti, penso anche a Passavanti che mi fa un pompino, ma
per sbaglio, quando si pensa capita di fare le immagini a casaccio, smetto
subito di pensare ad una cosa del genere e penso che vado a casa e mi metto il
cappello di Archimede Pitagorico e poi spacco tutti i vasetti che ci tenevo gli
spiccioli, prendo tutte le monetine che ho in casa, ne ho un bel pacco, e le
infilo nella pentola a pressione e poi, quando non ne trovo più, mi metto in
ginocchio in cucina e alzo gli occhi al cielo, e prendo la pentola a pressione
con due mani e mi rovescio le monetine sulla testa, sembra una cascata d’acqua,
fa anche un po’ male, cadono un po’ tutte insieme, non si distribuiscono bene
come nel film, e io dopo butto la pentola per terra, mi avvolgo con il lenzuolo
del letto e giro per le stanze sognando la dimenticata Kazar, e questa è la mia
vita, la mia Antonella.