la rete di controllo mondiale
(frammento)
1
La rete di controllo mondiale
cioè, cosa significa, con chi parli
la rete da pesca, da un frutto a un
altro
chi pesca cosa, chi è che pesca
qualcosa
i pesciolini non vivi non morti, e
quanta brama
kama, come si chiama, il desiderio
vale a dire quello che desideravo ieri
o desideravi, come i rami, gli ampi
viali
verdi tutti storti, e poi quante
storie
non fare storie, ti dico: fatti
femminile
fatti imperiale, fatti i fatti tuoi,
ecco fatto
scàttami al polso, il clic, la foto,
il ciak
vai e torna così, solo per ripeterti
com’era la domanda? c’era? buona la
prima
la pappa buona, la brina, com’eravamo
e quando
ma soprattutto: chi? o meglio: perché?
togli tutte queste cose per procedere
dritta
affilata come sei tu, come sai, come
ti vorrei
a mezzanotte di domani l’altro sai a
chi penserò
al passero, al solitario delle carte e
altri animali
o alle cose più secche: il muro e le
cose più dure:
la sedia, il legno, la tua mano così
frondosa
così perdonabile, e chi non chiede
scusa cosa fa?
il falegname, pialla, sega le assi, fa
la mano morta
il giro di poker, gli scarti, gli
avanzi, le serate
e le notti, quante notti amore mio,
quante note
sette e un quarto, un quarto di luna e
il resto in dollari
gli attributi, la quarta parete, le
quinte e nulla più
di scenografico, la stilografica nel
senso di penna
algebrica che scrive le frasi, “quanto
è difficile”
fra uno e due punti di domanda e
l’unica: ti prego
non lasciarmi, non sono ancora cotto.
2
Questo era il prologo, il resto è un
faccia a faccia
al tavolo della colazione, stamattina,
quando ti dissi
“voglio scrivere un poema epico”
e l’altra mattina, ieri l’altro,
l’altro giorno, domani
mi dicesti, mi dicevi che non avevi
più le dita
non te le vedevi, anzi eravamo sul
treno digiuni
da parecchio, soprattutto l’acqua:
neanche un liquido
solamente le fodere, i rivestimenti
delle poltrone
di quel tuo verde così ben definito,
chiaro, il tuo colore
messo da parte, messa via di lato ogni
cosa dietro le spalle
(esitavi, o ero io) mi dicesti,
rispondesti
“vivi, dimmi bugie”
perché io cominciavo un po’ a
esistere, facevo esercizio
da poco cercavo di alzare ora una
gamba, ora l’altra
ora la testa e perdevo la tua, ridevo,
povero, senza occhi
e la bocca a metà, solo il labbro
inferiore:
“dovevamo fermarci prima”
ho detto, ed era una; ma poi mi sono
distratto
e tu eri di nuovo lì, tutta incrinata
e blu, piegata in basso
c’era tutto il tempo, il vento che
soffiava poco, senza vele
tutto questo tempo sopra e sotto il
tavolo
quante posate conti? forchetta e uno,
coltello e due
ma la tua collana, i tuoi gioielli, tu
senza gioielli
noi insieme vicini chilometri senza
testa da girare
o la testa che gira, o non puoi girare
la testa, o guardare
o ordinare al cameriere qualcosa di
privato, un lusso
chiedere della preistoria, del
vecchio, del sapore
prima di alzarsi, non abbiamo mangiato
niente, obiettare
“come fai sempre tu, eh, ridacchiando”
e mano nella mano cadere all’indietro,
in nessun fuoco.
3
Ma questo da chi l’hai imparato? le
domande?
l’aria? che aria respiri? respiri?
respiriamo? vieni
respira, vieni a respirare, andiamo a
sbuffare
hai la tosse? siamo malati? sei tu?
vieni a provarti
la febbre, quanta febbre hai? quanto
hai? hai soldi?
cosa mi dai? quanto mi dai? che fai?
dove andiamo?
parli con me? io con chi parlo? non è
un manuale
è una giostra, andiamo al parco? il
luna park?
e tu pensavi, pensavi, il divertimento
dei fessi, dicevi
che non dovevo chiedere niente a
nessuno, davvero?
dici davvero? mi credi? ti fidi?
perché ridi? partiamo?
quando arriviamo? quanto manca?
t’annoi? ti vedo
pensierosa solo quando penso ad altro,
o non guardo
o c’è il fumo, o la nebbia, o fa
freddo, o fingo, credo
di essere uno specchio: rifletti, sei
stanca? hai fame?
che ore sono? che giorno è oggi?
quanto ci è rimasto?
dove vuoi andare? cosa vuoi fare? di
che parliamo?
e poi? e allora? quindi? e adesso? hai
paura? me l’hai detto
vuoi bugie, vuoi mangiare, sei sazia?
hai ancora fame?
stai bene? cosa stai dicendo? a che
pensi? il letto, lo so
il cuscino, non ho più sonno,
sprofondiamo da qualche
altra parte oppure vieni qui, passa di
qua, vieni dall’altro
lato e cosa dici, un’unghia in più, un
dente, altri elementi
bianchi per noi già lavati pronti, nel
nostro unico mondo
cucinati e portati in tavola, che
fame, sei pronta? sei nata?
pronti a cambiare direzione, ruotare
l’asse e tutto il resto
su quale perno, un perno, volubile,
uno dei tanti, e poi?
forse il silenzio o il mal di testa o
più probabilmente
la diga, la città, la città di mare,
la precisione, che ne so
no, niente nomi, è un’isola? come ti
senti? come stai?
da dove chiami? ripeto, perché ridi?
ma ti ho già telefonato
e non succede più niente.
4
Bello, t’invidio. Non mangio verdura.
Sono difficile.
Faccio le parole crociate. Porto
avanti, mi porto avanti.
Faccio i compiti. Faccio il difficile.
Ti faccio fretta.
Faccio presto, ho paura. Non ho paura.
Non prendo treni.
Non viaggio. Porto la frutta. Mangio
molto. Mi guardo
allo specchio e tremo. Guardo dalla
finestra e rido.
Vedo le strade, prendo le foglie.
Perdo un po’ di pezzi.
Perdo, in genere, o gioco, o vinco.
Amo qualcosa.
Vado dritto, vado spedito. Sono
tortuoso. Sono contorto,
sono un materiale. Sono gonfio. Vinco
spesso, non gioco,
o perdo. Non sono pericoloso, cammino
laterale. Ho le
gomme da masticare. Perdo pezzi che
cancello. Lecco le
cose di ferro, le sbarre dei cancelli,
d’inverno, col freddo,
con le mani legate, coi cani. Amo gli
animali, allevo tutto.
Sono disciplinato. Bello, t’invidio,
tutto ciò, tutto questo.
E quello che t’arriva, come se potesse
finire.
5
Così, scesa dalla radio, t’arrampichi
sulla sedia, inclini la testa, ti
spezzi il
collo, ti fai domande, non ti curi,
perdi
il controllo del telefono cellulare,
formi
troppi numeri che li dimentichi, ti
dimentichi di niente, dei reni, i tuoi
reni,
come trarre i remi in barca,
veleggiare
così ed ecco, ecco che diventi
dialettale,
popolare, cavalleresca, classica,
onnivora,
mangi tutto, quasi tutto, tutto tranne
le
cavallette e sai quello che è giusto e
che non è,
io non sono, per esempio, quello che,
e tu
stavi andando a una festa di laurea,
dice la radio,
sul pulmino che è uscito di strada,
dice la radio,
ma nessuno s’è fatto niente, non tu,
non io,
qualcuno forse lo sa, ma mente in ogni
modo,
in ogni casualità, per dirti:
“perversione”, o:
“sei perversa”, o: “perversa”, punto.
Io infatti
la sento, l’aria malsana, perché siamo
sempre
in ritardo.
6
Punto, parentesi: questa non è storia.
E’ verdura, facciamo i nostri prezzi,
noi economici.
M’arrivi tardi e mi ripeti, mi credi
simbolico.
Io: ti lancio lontano, superata, e
t’invento classica.
Come musica le tue mezze parole mi si
spargono qui.
Dove qualcosa svolazza, alette
leggere, alucce, cosine.
Impalcature e altre oscenità più
piccole, le tue unghie.
Le tue mani, le tue direzioni
corporee, di te, delle tue due teste.
No grazie, ripeto, e sono proprio sul
ciglio, dall’altra parte.
Gli autori sono antichi, ripeto, e ti
chiedo consiglio.
Su cos’è che non si può e su te che me
lo spieghi, mi dici altro.
Mi dici, “verità”, e non sembri bella.
Finché passa l’attimo dopo.
7
Il tuo
discorso, eccolo: “Al fungo io volevo dire
cose
molteplici di come m’è successo di uscire da
quell’esperienza
un’esperienza un po’ piacevole un po’ no
un po’ così
da dimenticare da me dalla dimenticata e chi
mi ha
scordato non mi suona più nessuno e io ce l’ho con te
ce l’ho su ce
l’ho addosso e chi capisce tu tanti tu fra tutti
sai che
t’odio ma solo se mi guardo allo specchio o se sono
altrove se
non ti penso altrimenti sì mi piaci mi stimi come
io sono fatta
se non ti chiedo scusa dei ragli dei versi strani
i morsi di
chi non sa cucinare come me non ammetto niente
ci serve una
babysitter un sorvegliante che ci rapini la banca
dentro come
volevamo fare noi oppure la tabaccheria tutte le
nostre
sigarette i pacchetti che ci escono dalle maniche
più d’inverno
che d’estate anche perché parole tue in questa
stagione oggi
al giorno d’oggi oggigiorno molte cose non esistono
esistono poche
cose la maggior parte [...] di cosa
parlo, non
parlo, smetto, mi vedi tremare, mi vedi le foglie
attraverso,
me ne compiaccio, ladro, non rubi niente, mi
prendi in
giro, mi perdi, mi prendi, mi chiami, mi conosci
quasi, mi
giri un po’, mi fai, mi provi, mi alzi, mi stringi, mi
dai fastidio,
mi chiedi cosa so, niente, non mi chiedi niente,
mi chiedi se
t’amo e mi dici l’odio, non mi dici niente, non
dici niente,
sei una noia, vogliamo morire, il male, da dove
viene la mia
corrente d’aria, sono privata, sono timida, sono
fresca, sono
asciutta, sono un’opera a parte, non osare, non
osare, mi
usi, mi sfrutti, mi calmi, mi parli, mi ami, ami le
domande, vai
a pescare, voglio, ti voglio, andiamo, voglio,
voglio che
raccogli solo i frutti tuoi, voglio i frutti, voglio la
frutta,
voglio tutto perché posso parlare anch’io, e sempre, e
per sempre le
chiacchiere, il blablabla, sempre, e [...] in nome
di cosa mi
chiedo sola la notte resto sola la notte o di giorno
nei posti
sola t’aspetto per fare che cosa nel nome di qualcosa
di me che non
so o che non voglio o perché sono qui o da
qualche altra
parte non ritorno e non vado e non dico bugie
e non parlo
con nessuno e non ti rivolgo la parola e chi aspetto
nessuno in
nome di cosa mi chiedo mi siedo mi sdraio ti mando
in vacanza ed
esausta perdo la pazienza la posta la testa le feste
ti racconto
di quale roba e ma perché ma percome e ma dove sei
dove sono
cosa vuoi e basta, è solo l’ora di dormire.”