APPUNTI E SPUNTI SULLA

ANTICA FONTANA DI GALLIPOLI

di Elio Pindinelli

Lungi dall’essere stato compiuto e pubblicato.un esauriente studio sulla fontana antica di Gallipoli che universalmente ne facesse accetta­re datazione e vicende costruttive, col passare degli anni anche tra gli studiosi di storia nostrana e tra gli specialisti, nell’alternarsi di riaffer­mate certezze e di cauti ripensamenti, andavano invece delineandosi contrapposte tesi e discordanti pareri, dei quali 2 sembrano oggi pre­valenti su tutti:

Il primo di chi, perpetuando una memoria ed una denominazione storicizzata nel tempo, ne riporta le origini ad un’età ellenistica, al pe­riodo imperiale romano cioè; Il secondo di chi esasperando al contra­rio ogni critica ed analisi ne data al 1560 il concepimento e la costru­zione, nello spirito rinascimentale del recupero di canoni e di stilemi cari al mondo classico.

Chi scrive non ha mai accettato nessuna di queste due contrappo­ste tesi pur avendo severamente protestato in tempi recenti per l’acriti­co pronunciamentO della Sopraintendenza ai Monumenti 1, la quale aveva ritenuto esaurienti e compiuti giudizio e datazione sentenziati nel lontanto 1912 dall’arch. Bemich. 2

Sono convinto infatti che la semplice analisi stilistica del monumen­to giammai riuscirebbe a placare il profondo desiderio che il Gallipoli-no ha di capire e comunque di pretendere esaurientemente motivato ogni parere che volesse tentare di mettere in discussione secolari con­vinzioni che appartengono ormai alla cultura ed alla storia della Città.

Preliminari, perciò, ad auspicati successivi interventi e contributi potranno essere considerati questi miei appunti sull’argomento e le conseguenti personali ipotesi che vanno senz’altro verificate alla luce di probanti documenti, ma che ritengo valide per un metodo di lavoro finalizzato a comprendere gli avvenimenti della storia, di cui molto spesso il monumento non resta che il muto solitario testimone, quale appunto è oggi la fontana di Gallipoli.

* * *

Nell’Ottobre del 1673, narra una pagina del manoscritto Roccio trascritta dal parroco Occhilupo ~, vedendosi mancare l’acqua alla fon­tana pubblica, il governo della Università gallipolina comandò si per­lustrassero i condotti dell’acquedotto per svelarne le cause.

Percorse le sotterranee canalizzazioni senza alcun esito positivo i mastri giunti al primo pozzo di alimentazione dell’acquedotto praticato ai piedi delle balze dei Cappuccini, verso scirocco, vi scorsero incise sulla pietra di chiusura della bocca del pozzo stesso e sulla nuda roc­cia circostante una lunga serie di iscrizioni le quali con cura l’Occhilu­po ebbe cura di trascrivere e che qui io ora fedelmente riproduco:

Stefano Scalfone 1000

1560

Zelotipia

Antiopae rabiae mea stillant membra furorem Zelotipum causas, qui bibis hanc frenesim

Amoris

Salmaces optato nimpha marito

Felix virgo sibi si scit inesse virum

Et tu formosae iuvenis permiste puellae

Bis felix unum si licet esse duos
Aerumnae

Biblis amara vocor dulces tu sugge mammillas

Pristin infelix, odia versat amor.

Innanzitutto le immediate considerazioni.

I testi dei tre distici sostanzialmente, tranne qualche variante, con­cordano con quelli rilevabili ancora oggi sul fronte della fontana meno l’intestazione in Aerumnae del terzo a differenza dell’accreditata Erube­scentiae, che comunque solleticano un qualche confronto critico.

Importante poi sembra la presenza del nome di un personaggio, Stefano Scalfone, che io suppongo sia stato l’ingegnere idraulico che nel 1560 dovette affrontare e risolvere il problema della rinnovazione dei condotti e dei pozzi di alimentazione dell’acquedotto della fontana in concomitanza con lo spostamento di questa dal sito prossimo alla antica chiesa di S. Nicola, cui era stata collocata nel 1548, se dobbia­mo dare fede a quanto annota il Micetti ‘~ a p. 385 del suo manoscrit­to: “d’ordine del medesimo (Ferrante Loffredo)fu trasportata dalli Co­rici la fontana vicino S. Nicola, che fu nel 1548”.

E’ indubbio che un acquedotto, molto probabilmente di età roma­na, alimentato secondo il sistema dei Qanat noto presso i popoli orien­tali prima ancora che Vitruvio ne dettasse le caratteristiche nel De Ar­chitectura, esistesse in Gallipoli nel tempi remoti, e neI sopravvivono le reliquie ancor oggi in località “Fontanelle”, con una serie di condot­ti sotterranei che dovevano giungere sino alle porte della Città se il Ga­lateo  ne aveva rilevato i ruderi agli inizi del ‘500.

Certamente l’impianto di una fontana nel 1548 nei pressi della chiesetta di S. Nicola aveva comportato il rifacimento o il restauro del­l’antico acquedotto fin dai “Corici”, ove sboccava il lungo condotto sotterraneo a tunnel attraverso cui scorrevano le acque captate per per-colazione e per il convogliamento delle sorgive di più pozzi collegati tra di loro in località “S.Leonardo” 6

Stefano Scalfone che ritrovo presente in Gallipoli dal 1549 al 1551 7 dove essere stato il restauratore di tale acquedotto o l’artefice del nuovo nel 1560; ad eccezione che il numero 1000 inciso al di sot­to del nome non sia riferibile in qualche modo alla distanza del pozzo dalla porta di Città il che farebbe ipotizzare invece, per il chiaro riferi­mento ai “mille passus e continentia aedificia” di età romana, alla esi­stenza in quell’epoca di una magistratura civica che ampliava la sua influenza al di fuori del pomenio urbano quale a me sembrerebbe neces­sario per invigilare contro eventuali inquinamenti della zona deputata ad alimentare la fontana.

In qual caso si dovrebbe vedere in Stefano Scalfone un vero e pro­prio deputato alle acque.

Ma su tale argomento, se mi sarà data la possibilità mi piacerà ritor­nare in altra occasione.

Dall’esame del testo trascritto dall’Occhilupo un’altra considerazio­ne poi a me sembra oltremodo evidente, come cioè le tre parole latine UNA EADEM DIVERSA, che confermano oltretutto l’esatta interpre­tazione fatta nel lontano 1924 da Paolo Wolters 8 nel corso di una con­ferenza tenuta presso l’Associazione scientifica d’arte in Monaco del­la lunga serie di lettere leggibili (ora un pò meno) sull’architrave del monumento gallipolino, da molti in precedenza definita oscura tanto da rifenirla ad una sorta di memoria circa l’erezione della fontana, par­torita la prima volta dalla fantasia fervida di Giuseppe Massa 9 e pun­tualmente ripresa anche ai giorni nostri, assumono alla luce della loro collocazione ognuna accanto a ciascun distico, una chiara funzione esplicativa del concetto di base che dovette animare l’artefice e della nuova canalizzazione idrica e del complesso architettonico per come oggi è conosciuto.

Così come, cioè, l’acqua, captata attraverso lo scavo di alcuni poz­zi e incanalata per condotti sotterranei per varie vie giunge al suo estre­mo, anche la passione amorosa, che si placa e si nobilita nel matrimo­nio (Amor), può giungere agli opposti se la si lascia correre negli al­vei della gelosia (=Zelotipum) o dell’incesto (Aerumnae=il sinistro caso).

E a quali personaggi della mitologia classica fare ricorso per rende­re più efficacemente questa lezione se non a Dirce, devastata da unto-no a causa della vendetta di Anfione e Zeto; se non a Bibli la ragazza che anse di insana passione per l’amato fratello; se non infine alla gio­vane Salmace che accesa d’amore per il bel fanciullo, figliolo di Vene­re e Mercurio, ottenne dagli dei che in un sol corpo fossero ricordati gli attributi dei due esseri?

Dirce, Salmace e Bibli, 3 ninfe che nella tradizione classica furono trasformate in fonti dagli dei pietosi, avevano meritato quindi il desti­no di ammonire i vizi e di esaltare l’amore in una sostanziale unità con­cettuale ed espressiva, cui giustamente si era richiamato Paolo Wol­ters, in un chiaro intento moralistico, sociale-politico-didattico, chiara­mente per niente attribuibile ad età antica o classica.

Sia pure con tutte le possibili cautele e salvi eventuali necessari n­scontri e conferme, infatti, sono convinto che la fontana di Gallipoli non può essere stata concepita che sulla spinta di motivazioni ideolo­gico-culturali scaturite in un contesto politico-sociale particolarissimo e ispirate in qualche modo dal potere politico centrale.

E per comprendere ciò occorre per un attimo rileggere in filigrana i fatti storici avvenuti nel tempo in cui presumibilmente maturò il pro­getto della costruzione del monumento.

Nel 1547 infatti (ad un anno dopo il Micetti data lo spostamento dai Corici della fontana) scoppia a Napoli una grave sommossa popo­lare che mette in pericolo la stessa vita del Viceré don Pietro de Tole­do a motivo che questi aveva tentato di introdurre l’inquisizione all’u­so spagnolo.

Non è questa la prima volta, e non sarà l’ultima, che si tenta di por­tare a compimento un tale disegno politico.

Già nel 1509 un’altro Viceré, il Conte di Ripacorsa, ricorrendo an­che al pretesto della ricevuta denuncia secondo cui in Puglia e Cala­bria nefande orge avvenivano durante le quali “usavano li padri con le figlie et altri con le sorelle” 10 aveva tentato l’impresa senza però al­cun risultato pratico.

In quel 1547, mentre tutta Napoli è in rivolta confortata dall’ade­sione di numerose Province del Regno, l’Università di Gallipoli inve­ce è apertamente alleata con le scelte politiche centrali e avanza addirit­tura l’offerta personale al Viceré de Toledo di inviare a Napoli 200 cit­tadini armati a difesa della sua persona 11•

E’ possibile che anche nel 1547 sia stato utilizzato il pretesto intro­dotto il 1509 dal Conte di Ripacorsa per giustificare il tentativo di in­troduzione dell’inquisizione nel Regno?

E a livello politico-sociale i fatti ivi denunciati, se reali e non in­ventati, trovavano ancora manifestazioni al 1547?

Potrebbero essere buone “ipotesi di lavoro” per arrivare a compren­dere a pieno motivazione e linguaggio singolanissimi che caratterizza­no il monumento gallipolino.

Sarebbe d’altronde superfluo, ritengo, sollecitare a questo punto l’attenzione del lettore sul significato profondo che l’artista deve aver voluto dare alla raffigurazione scultorea della favola di Salmace, che non a caso è centrale nell’opera: due corpi cioè distesi, cinti alla vita da un cordone sostenuto per le mani da un personaggio che non pare dubbio doversi riconoscere come la dea Venere, a suggello di una unione, propiziata da Cupido, che si intravede in alto a sinistra pronto a scoccare il dardo fatale, e benedetta dagli dei, da cui frutto di atto d’amore germinerà una prole, maschio o femmina che sia, che per l’antico eterno mistero della vita, rinnoverà, proprio come Salmace aveva chiesto agli dei, nelle proprie carni le fattezze e gli attributi dei genitori.

Ma dunque, monumento concepito e costruito nel ‘500 la fontana di Gallipoli?

Se posta semplicisticamente in questi termini la risposta non po­trebbe che essere una possibile, se non fosse per una infinità di picco­li dubbi e di contrastanti risposte a numerosi riscontri quali per esempio:

- Le figurazioni presenti lungo l’architrave e niproducenti scene tratte dalle fatiche di Ercole, difficilmente riconducibili a quella sostanziale unità interpretativa manifestantesi tra distici e raffigurazioni mitolo­giche;

- L’uso di più materiali nell’assemblaggio dell’opera che diventa sin­tomatioo e rivelatore di più momenti di esecuzione se accoppiato al fatto che le figurazioni alte presentano una sorta di ornato a fogliame del tutto assente in quelle basse scolpite invece in un calcare più compatto e di un colore più bianco;

- Le vasche più raffinate nel gusto e impreziosite da graziosi puttini e da ghirlande, che appena si scorgono rose dal tempo edace, e tanto differenti e lontane per bellezza ed esecuzione tecnica dalle restanti parti;-

- Il passo, infine, già citato del manoscritto del Micetti, con l’assillan­te quesito se debba realmente leggersi nel senso che un relitto di anti­co monumento, già esistente ai Corici, fu effettivamente trasportato e ricomposto l’anno 1548 nelle vicinanze della Chiesa di S. Nicola.

Tutti dubbi alimentati ed avvalorati da una semplice osservazione che mi sono sorpreso a fare non molto tempo addietro, scaturita senza nessuna forzatura, con naturalezza stupito quasi che altri mai l’abbia potuta rilevare.

Se le figurazioni infatti riferite a Salmace e a Bibli in un certo qual modo esprimono compiutamente il concetto che sta alla base della lo­ro realizzazione potendosi senza molto sforzo ai loro miti riferire ogni personaggio e particolare scolpito nella pietra, per la raffigurazione di Dirce invece contrastata e poco convincente appare la identificazione con Bacco (come ipotizza alcuno) o con Anfione del personaggio che appare in posizione eretta e frontale nella parte alta del comparto, in una non ben definita movenza di braccia, mentre il personaggio fem­minile che nella parte bassa appare contornato da 2 tori è stato identifi­cato da tutti in base al relativo distico come Dirce moglie di Lico re di Tebe.

Non trovo per quanto abbia cercato e nelle fonti classiche e nelle raffigurazioni anche di epoche successive riferimenti a Dirce che non indicassero sempre per il suo supplizio un sol toro o un sol cavallo (ed è variante molto tarda).

Perchè allora nel monumento gallipolino le presenze sono raddop­piate, mutuate da quale letteratura o da quale tradizione?

Invano, io credo, si cercherebbe una qualche risposta se si volesse insistere sul personaggio di Dirce.

Narra invece un altro ben più famoso mito greco, e qui mi sono di supporto reminiscenze scolastiche non mai sopite, che Pasifae figlia del Sole, anse di passione per un bellissimo toro bianco e non sapen­do come riuscire a possederlo si rivolse a Dedalo, il famoso architet­to, il quale concepì di costruire una bellissima vacca di legno, che rico­prì di pelle per farla sembrare vera, e consigliò la regina di introdurvi-si dentro, le gambe nel cavo delle zampe posteriori del finto animale.

Il consiglio di Dedalo fu subito eseguito da Pasifae che ordinò di portare nel campo in cui pascolava il bianco toro, lo strumento del pro­gettato inganno.

A credere alla storia sembrerebbe che non fu difficile a Pasifae atti­rare il focoso animale bianco e consumare il meditato amplesso, il cui frutto generato fu il mitico Minotauro dal corpo di uomo e dalla testa di toro.

Pasifae dunque non Dirce il personaggio ed il mito raffigurato nel primo comparto della fontana di Gallipoli, e il lettore facilmente se ne convincerà osservando attentamente la riproduzione fotografica del particolare che qui si pubblica, che si lega in qualche modo con la sto­ria di Ercole della trabeazione e che apre sull’origine di questo singola­re monumento a nuove prospettive di interpretazione e di datazione.

Mi sembra possibile con tali presupposti infatti ipotizzare che ele­menti di un monumento più antico siano stati utilizzati in una nuova espressione e concettualità attribuendo a figurazioni antiche riferimen­ti a miti di cui si era nel tempo perduta ogni memoria storica e tradizio­nale.

 

1) E. Pindinelli, Per quali fini la fontane è  diventata «rinascimentale», in: «La Gazzetta del Mezzogiorno», 13-12-1984.

2)  E. Bernich, Spigolature artistiche. 1. Lo fontana di Gallipoli, in Apulia, a. II. fasc.III.1V, 1911, pagg. 225-228.

3)  A. Roccio, Memoria dell’antichità della Città di Gallipoli, Ms. n. 76 della Biblio­teca Provinciale di Lecce, fol. 567-570.

4) L. A. Micetti, Memorie storiche della Città di Gallipoli, Ms. n. 347 della Biblioteca Provinciale di Lecce.

5) A. Galateo, Callipolis descriptio, Basilea, 1558.

6) M. I. C. A. Servizio geologico d’Italia. Note illustrative della carta geologica d’Italia, foglio 214, Gallipoli Ercolano, 1969, p. 57.

7)  Archivio parrocchia S. Agata - Gallipoli, Atti battesimali: A. 1549, 4 giugno, Stefano Scalfone è compare al battesimo di Giacomo Delidano; A. 1549, 10 ottobre: al battesimo di Angelo Colopazo; A. 1550, 10 luglio, 6: al battesimo di Porzia Lachibari; A. 1551, 1 agosto:al battesimo di Lucrezia Lombardo.

8)   P. Wolter, Werichte - Sitzungen der Kunstwissnsch afilichen gesellschafi in Munchen - Sitzung am 10 Januar 1924. s.n.t.

9)  G. Massa, Memoria sulla fontana di Gallipoli - in fondo Briganti - Staiano - Cfr. A. Mangione, Castiglione, Lecce 1986, p. 66.

10) G. Coniglio, I viceré spagnuoli di Napoli, Napoli, Fiorentino 1967, p. 21 - Cita il ms. 754 della Biblioteca Nazionale di Madrid.

11) L. A. Micetti, ,Ms. citato, fol. 386; A. Roccio, ms. citato, fol. 51.

     

 

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