I frantoi ipogei ed il commercio dell'olio in Gallipoli

Frantoio ipogeo di Palazzo Granafei
Frantoio ipogeo di palazzo Granafei
 

1) Fin dal XVI secolo Gallipoli nell'ambito del commercio dell'olio d'oliva era ritenuta la maggiore piazza di esportazione del Regno di Napoli. Al fine di stabilire un equo prezzo di mercato il Comune lasciava alla libera contrattazione l'olio fino al 5 dicembre di ogni anna. Il giorno successivo nella ricorrenza di S.Nicola sulla base delle contrattazioni avvenute su 8.000 stare di olio(pari a 124 tonnellate e 736 Kg.) il Comune stabiliva la voce, cioè il prezzo corrente di vendita, naturalmente in ducati.

Questo prezzo era indicativo per i prezzi che si stabilivano poi alla borsa di Napoli e di Londra.

L'olio di Gallipoli era molto richiesto dai mercati del regno e di tutta Europa e aveva un prezzo maggiore di tutti gli altri olii tra cui quelli di Bari e della Calabria.

Nella Biblioteca comunale di Gallipoli è conservato un volume originale della voce degli olii stabilita nel XVIII secolo.

2)L'olio prodotto nel territorio di Gallipoli e della Provincia perveniva nella città per essere commerciato e depositato in capaci cisterne scavate nel tufo. Nei documenti catastali del 1809 sono registrate non meno di 2000 cisterne di olio nel sottosuolo della città vecchia di capacità variabile tra le 10 e le cento salme(155 quintali). L'olio veniva commerciato con caratteristici ordini in derrate a cura ed interesse delle numerose case commerciali residenti in Gallipoli, tra la A.Auverny, la Stevens, la V.Starace e la G.Palmentola.

In tali ordini il valore della salma nella misura detta di magazzino corrispondeva a Kg.147,31.

3)Le olive raccolte nel territorio di Gallipoli, che allora comprendeva anche gli attuali Comuni di Sannicola e Alezio, pervenivano generalmente nel centro storico di Gallipoli per essere molite nei numerosi frantoi sotterranei scavati nel tufo.

I registri catastali del 1809-1857 registrano la presenza in città di 35 frantoi. Due di questi interessanti ambienti sono stati recuperati da oltre dieci anni a cura dell'Associazione Gallipoli Nostra che ha curato anche la ricostruzione fedele delle attrezzature originarie di macinazione e spremitura delle olive.

Indispensabile per la produzione dell'olio era la vasca di macinazione con una pesante macina verticale in pietra azionata da un cavallo o da un mulo. Per rendere più agevole il lavoro la vasca subì nel tempo varie modifiche prima con l'impianto di due macine più basse e successivamente con un sistema a tre macine con assi differenziati in modo da consentire una maggiore superficie di macinazione e pari alla somma degli spessori delle tre macine.

4)Con la macinatura si produceva la pasta di olive che veniva equamente distribuita su speciali piattelli intrecciati in giunco o in fibra di cocco detti fisculi. Di questi piattelli veniva montata una alta catasta ai piedi di speciali torchi in legno azionati a mano e che avevano la funzione di spremere tutto l'olio contenuto nella pasta delle olive.

I torchi a due vitoni erano detti torchi alla calabrese ed avevano i lunghi vitoni fissi ancorati sotto roccia su speciali plinti in pietra. La pressione occorrente per la spremitura veniva sviluppata mediante l'avvitamento contemporaneo e robusto delle due madreviti sul grande travone in legno, sotto cui era collocata la catasta di fiscoli.Un altro modello di torchio è quello detto alla toscana, con madrevite fissata sotto volta e vitone unico mobile. La pressione veniva sviluppata mediante l'azione di un robussto asse in legno infilato nella testata del vitone centrale.

5)Nell'evoluzione delle tecniche di produzione dell'olio dalla fine dell'800 furono dismessi gradualmente i torchi in legno che furono sostituiti da presse strutturalmente molto simili a quest'ultimi per la presenza di un lungo vitone ruotante in una testata con funzione di madrevite.La caratteristica principale che differenzia le presse dai torchi consiste in un doppio fascione in ferro che imbriglia le resistenze all'atto della spremitura. Tale modifica strutturale consentiva l'impianto di spremitura in locali edificati a piano stradale con il conseguente abbandono di strutture sotterranee una volta necessarie per contrastare la spinta contro la volta scavata dei torchi.

6)Uno dei massimi studiosi dei sistemi di coltivazione degli ulivi e di produzione dell'olio fu il gallipolino Giovanni Presta (1720-1797), medico e agronomo che dedicò gran parte della sua vita alla sperimentazione.Di lui scrissero con lode lo svizzero Salis Marschlins, gli inglesi Swimburne e Clarke nonchè Galanti e Palmieri. Il suo primo saggio fu pubblicato in Napoli nel 1786 e conteneva una memoria intorno a 11 saggi diversi di olii offerti all'imperatrice di Russia Caterina II unitamente ad uno studio sulla ragia, una infezione a cui erano soggetti gli ulivi.

7)Un altro saggio pubblicato da Giovanni Presta riguarda 62 saggi diversi di olii presentati nel 1788 al re di Napoli Ferdinando IV. Tali saggi il Presta aveva amorevolmente prodotto nel proprio frantoio facendo esperienza delle varietà di olive e dei periodi di raccolta.Nel saggio figura anche un esame critico dell'antico frantoio d'epoca romana rinvenuto a Stabia. Era questo un modo per agganciarsi alle esperienze degli antichi per migliorare le tecniche di produzione.

8)L'opera più importante del Presta, che gli diede onore e prestigio a livello nazionale ed internazionale riguarda un approfondito studio sulla coltivazione degli ulivi e sulle tecniche di produzione dell'olio, pubblicato a Napoli nel 1794.

Con questo importante lavoro Giovanni Presta dimostrò la necessità di rinnovare i frantoi secondo sistemi moderni di costruzione consigliando la dismissione dei trappeti sotterranei. Tenuto in gran conto dai suoi contemporanei, il testo del Presta inaugurò il principio della sperimentazione in agricoltura sulla scorta dei principi illuministici e sulla spinta del vasto movimento naturalistico e fisiocratico del tempo.

9)Gran parte dell'olio prodotto o depositato nelle cisterne veniva venduto a Paesi esteri, i quali avevano rappresentanza in Gallipoli con propri vice consolati. In Gallipoli si ebbero fino al 1923 i consolati esteri di molte nazioni europee. Pietro Maisen, un Valtellinese che visse a Gallipoli e che scrisse nel 1870 "Gallipoli e i suoi dintorni" un volume di memorie storiche e di descrizione della città, annotò la presenza in quell'anno di ben 12 vice consolati in rappresentanza rispettivamente di Austria, Danimarca, Francia, Inghilterra, Impero Ottomano, Paesi Bassi, Portogallo, Prussia, Russia, Spagna, Svezia e Norvegia, Turchia.

La nomina dei Vice consoli avveniva per rilascio di patenti da parte del Ministero degli esteri della nazione interessata convalidate dal Ministro per gli Affari esteri italiano.

10)La spedizione dell'olio commerciato con l'estero avveniva via mare con imbarco dal porto. Prima però l'olio veniva trasportato a spalla con otri di pelle fino alle pile regie di caricamento collocate nel luogo in cui vi è attualmente il mercato del pesce al dettaglio. Vi era addetto un gabelliere regio che con un'asta di bronzo graduata misurava, ai fini del pagamento della tassa di esportazione,la quantità d'olio da esportare. Dalle pile regie di caricamento l'olio veniva immesso in botti di legno di castagno che opportunamente contrassegnate e numerate venivano imbarcate sulle navi in attesa alla fonda.

Al momento del caricamento veniva compilato un documento di imbarco che con le formule di rito indicava il destinatario del carico e la quantità dell'olio nonchè il numero, con il relativo contrassegno, delle botti caricate.

11)Un altro documento necessario per la navigazione era la cosiddetta Patente di sanità, cioè un apposito certificato dal quale risultava che la nave e l'equipaggio partivano dal porto di Gallipoli, città in cui non si registravano malattie contagiose.

La formula di rito era generalmente la seguente: Parte da questa illustrissima e fedelissima città di Gallipoli, ove per la Dio grazia, di sua SS. Madre, e dei SS.nostri Protettori si vive sani e senza sospetto di male contaggioso, la barca nominata...per andare a...

Il documento recava all'intestazione con lo stemma reale e l'emblema civico, le immagini di S.Agata e di S.Rocco.

12)Le raffigurazioni del porto di Gallipoli nel periodo di commercializzazione dell'olio d'oliva con l'estero sono numerose ed attestate da magnifici dipinti del '700 dei quali il più importante, di Filippo Hackerth è conservato nel Museo di San Martino a Napoli. Ma non mancano importanti testimonianze fotografiche anche dei primissimi anni del '900 quando ancora si potevano vedere le banchine portuali stracolme di botti pronte per l'imbarco, e le navi attraccate ai moli mentre i moderni vapori stazionavano alla fonda nel bacino portuale. Queste immagini trasfuse in migliaia di cartoline postali viaggiarono dalla fine dell'800 in tutta Italia ed all'estero.

I Frantoi di palazzo Granafei sono stati restaurati a cura dell'Associazione Gallipoli Nostra con il determinante contributo della Camera di Commercio di Lecce. Sono oggi meta di turisti e scolaresche.

 
Frantoio ipogeo di palazzo Briganti
Documento d'imbarco dal porto di Gallipoli
 
 
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