LO
SAPEVATE CHE?
La
via Monacelle prende la sua denominazione da alcune case di proprietà
del Monastero di S.Teresa adibite nel 1742 a sede del Conservatorio femminile
di S.Francesco Saverio.
Tale
iniziativa fu assunta su insinuazione, fatta al vescovo di Gallipoli mons.Piscatori,
dal padre Onofrio Paradiso della Compagnia di Gesù, venuto in quell'anno
in città per predicare le Missioni.
Scrive
don Carlo Occhilupo, parroco di Gallipoli, in un suo manoscritto compilato
nel 1752 ed oggi conservato presso la Biblioteca Provinciale di Lecce:
" Nell'anno 1742 a' 25 febraro si stabilì il Conservatorio di S.Francesco
Saverio...e situato nelle case di S. Teresa vicino al sig. Romito, dove
entrarono frà zitelle, e femine di ritiro venti cinque vestite di monache
dell'istess'ordine, e per Madre Abbatessa entrò la Monaca Bizzoca Sig.ra
Suor.Rosa Maria Roccio...".
Per
sostentamento del Conservatorio fu fatta in quell'anno una "cerca
pubblica" cui parteciparono "colle
bisacce in spalla" il vescovo Piscatori accompagnato dai suoi Parroci
sostituti don Carlo Occhilupo e D. Giuseppe Statila, il Sindaco di Gallipoli,
il nobile Leonardo Rajmondo. Partecipò alla "cerca" anche il
Governatore regio di Gallipoli e molti nobili sottoscrissero impegno pubblico
di sovvenzione annua alle necessità del Conservatorio.
Si
raccolsero in pochissimi giorni, oltre alle suppellettili necessarie,
160 ducati di elemosina.
Nel
1746 si costruì il nuovo conservatorio nel vicinato detto di S.Giovanni
Battista (attuale Via S.Luigi) sulla demolizione delle case di proprietà
del Cantore Sansonetti. Nel 1756 fu costruita l'attuale Chiesa intitolata
a S.Luigi.(E.PINDINELLI)
Tra
il 1704 ed il 1712 fu costruita la torre nuova dell'orologio, accanto
alla basilica cattedrale sulla piazza detta dell'orologio poi battezzata
col nome di Dante Alighieri ed oggi conosciuta come Piazza Duomo. Nel
1746, sotto il Sindacato di Vito De Tomasi la torre venne sopraelevata
di un altro piano e vi fu collocata la nuova campana fusa dal mastro gallipolino
Leonardo De Mitri.
Le
opere murarie furono eseguite dal mastro Domenico Toma da Copertino, ammogliato
e residente a Gallipoli, mentre gli stucchi furono eseguiti dal maestro
Giuseppe Centolanze da Nardò, anch'egli qui accasato.
In
tale occasione venne sostituito l'antico orologio rappresentato da due schiavi in legno che con i loro martelli
battevano le ore, sul modello di quello veneziano di piazza S.Marco.
Il
nuovo orologio fu realizzato dal maestro napoletano Francesco Barletta.
Altre
vicende subì la torre e lo stesso orologio che furono restaurati sotto
il sindacato di D.Sancio Rocci mediante l'accomodo dell'orologio a cura
del maestro orologiaio Andrea Guarna ed il rifacimento degli intonaci
e degli stucchi con le imprese della città del re e del sindaco di Gallipoli.
L'attuale
orologio risale ai primi anni del '900.(E.PINDINELLI)
Il
7 gennaio del 1899 giunse nel porto della città il piroscafo battezzato
col nome della città costruito dalla società Puglia di Bari nei cantieri
navali Luigi Orlando di Livorno. Aveva una stazza lorda di 1076 tonnellate.
Varato
a Livorno il 10.7.1898 poteva trasportare 16 passeggeri di prima classe,
altrettanti di seconda e 329 di terza classe oltre alle merci. Misurava
metri 65,710 in lunghezza e metri 8,800 il larghezza con una velocità
oraria di 13 miglia
Ad
attendere il nuovo piroscapo nel porto di Gallipoli vi era il Dauno della
stessa società Puglia appositamente giunto da Bari con la commissione
per i festeggiamenti e con la banda musicale.
Il
Corriere delle Puglie ne scrisse la cronaca:
"La
folla che lo (il porto) gremiva salutò entusiasticamente; madrina del
piroscafo, per l'occasione, fu la Sig.ra Melodia Ravenna(moglie del Sindaco
di Gallipoli Giovanni Ravenna), accompagnata dal direttore della "Puglia"
cav. Carmine Gallo, mentre gli onori di casa furono fatti dal Cav. Manzari
e dal comandante della nave cap. Di Lernia. Omaggio della città al nuovo
piroscafo della flotta pugliese fu oltre alla bandiera e al cofanetto
artistico per riporverla, opera dell'ebanista Emanuele Leo, un'artistica
pergamena ed un quadro opera del pittore Pippo Forcignanò con la dicitura
-
LA CITTÀ DI GALLIPOLI
GRATA ALLA SOC. DI NAVIGAZIONE A VAPORE PUGLIA
CHE DELLE GLORIOSE TRADIZIONI COMMERCIALI GALLIPOLINE
MEMORE VOLLE
CHE UNA DELLE SUE NAVI NE PORTI IL NOME,
OGGI GIORNO FAUSTO DEL BATTESIMO,
AI MARINAI DEL GALLIPOLI
LA SUA BANDIERA CONSEGNA,
FIDENTE CHE NEI PERIGLI, NEL LAVORO
SI ISPIRINO AL MOTTO DELLA SUA ARME,
FIDELITER EXCUBAT"
Il
Gallipoli operò per lungo tempo lungo le linee di navigazione mediterranee
per essere poi adibito in piena guerra mondiale al servizio della Regia
Marina per trasporto materiali come nave caserma fino al 1917. Alienato
per L. 450.000 alla "Florio" il 13 giugno del 1928 terminò il
suo servizio attorno agli anni 1936-40.
Una
seconda unità col nome Gallipoli registra la storia della marina italiana.
Era una piccola imbarcazione armata di un paio di cannoncini ed adibita
a cannoniera in servizi di scorta convogli nel corso delle due guerre
mondiali e che terminò la sua carriera come bottino di guerra delle nazioni
vincitrici dopo l'ultima guerra mondiale.(E.PINDINELLI)
Una
curiosa ed inedita notizia di cronaca nera è inserita manoscritta sul
frontespizio del cinquecentesco volume della Fabbrica del mondo del ferrarese
M.Francesco Alunno , già appartenuto a Francesco Pasquale Tafuri ed oggi conservato nella biblioteca
civica di Gallipoli.
Il
19 maggio del 1630, racconta l'anonimo annotatore, "fu ammazzato
il capitano Fran.sco d'Acugna ad ore 22" davanti al bastione delle
Guizzene. Autori furono Alessandro Ragonese e Giuseppe Monittola. Il capitano
Francesco d'Acugna è quello stesso personaggio che sposando una nobile
gallipolina di casa Demetrio ne acquisì il palazzo di famiglia sul cui
fronte fece incidere, nel 1625, una
lunga e pomposa iscrizione in lingua spagnola in onore di Filippo IV di
Spagna che in parte ancora si legge. La sua morte segnò il culmine di
aspre lotte tra i cittadini e la soldesca spagnola cui veniva inibito
il possesso di armi nell'ambito della cerchia muraria di città.
Narra
sempre l'anonimo annotatore che per il sanguinoso evento i soldati spagnoli
provocarono una vera e propria sommossa placata solo quando, anche violando
il divieto di introdursi nei luoghi sacri, riuscirono a catturare nella
Chiesa conventuale di S.Francesco uno degli autori del fatto di sangue,
Alessandro Ragonese sulla cui sorte però la nostra fonte pietosamente
tace.(E.PINDINELLI)
Si
sa che il ponte in pietra che
collega il centro storico al territorio del Borgo nuovo fu costruito tra
il 1603 ed il 1607. Tale ponte aveva però un grande difetto per il quale
non sappiamo, ma lo immaginiamo, quanti improperi e moccoli abbiano snocciolato
nel corso degli anni la grande schiera dei carrettieri che per entrare
in città con i loro pesantissimi carichi dovevano faticare non poco per
superare la ripida rampa che, curvando a gomito sul fosso del castello,
si immetteva sul ponte levatoio in legno ai piedi della grande porta di
città.
Un
problema questo non marginale per quei tempi quando le scelte costruttive
dovevano purtroppo fare i conti
con le necessità difensive più che con la funzionalità viaria.
Tale
grave inconveniente fu in parte eliminato nel 1768 quando si decise "per
venire giusta e comoda la salita che monta dalle pigne sin al ponte di
tavole si dovesse principiare dal mezzo ponte, e propriamente dalla pilastra
di natatori". L'idea era partita dal Notaio Tommaso Maggio, pratico
di ingegneria, e dal maestro fabbricatore Paolino Reti i quali "fecero
levare da detto determinato loco e per tutto il resto del ponte sin a
quello di tavole, le pietre vecchie dell'insalicato, e fecero, a misura,
far alzare detto ponte ponendovi pietre grosse, e terra all'insecco, e
far alzare li pezzi grossi del recinto dell'uno, e l'altra parte".
Un lavoro questo lungo e complesso per il continuo transito di "carrette,
trajni e soma a basto" che portò via all'erario comunale 1350 ducati
e durò ininterrottamente dal luglio all'ottobre di quell'anno.
Neppure
semplice doveva essere l'opera di rifacimento del ponte levatoio in legno
che da alcuni atti risulta periodicamente ricostruito in media ogni 25
anni. (E.PINDINELLI)
Antichissima
è la tradizione di una grande fiera al largo del Canneto che molti hanno
erroneamente confuso con la festa che pure si svolgeva in onore della
Madonna e della quale nel '700 furono grandi devoti i Bastasi della Confraternita
della Purità.
Furono
infatti i fratelli scaricatori
di porto che, in collaborazione con i colleghi Bastasi addetti al caricamento
dell'olio di oliva alle pile regie, decisero nel 1764
di meglio solennizzarne la festa ordinando a Napoli una statua
lignea policroma della Madonna del Canneto.
Fatalità
volle che tale statua, per un'improvvisa burrasca di mare, giungesse a
Gallipoli a bordo di un martincane solo il 7 di luglio di quell'anno,
a festa terminata, che ebbe così un un imprevisto corollario con solenne
processione iniziata alle 21 di sera e terminata al mattino successivo.
L'anno
seguente la Confraternita della Purità determinò di fare la processione
con la statua della Madonna nel giorno della
vigilia della festa. Si fece "lo stendardo nuovo e l'abitino
in tela con la figura ed immagine della Madonna per portarsi per insegna
in detta processione".
In
quell'anno la festa si svolse per la prima volta in 4 giorni festivi consecutivi
e si costruì da mastro Pasquale
Inguscio di Galatone "il
recinto delle baracche rinchiuso, acciò non entrassero Carrozze, e Galessi...
con colonniato e frontespizii per ogni baracca, lasciando solamente tre
porte per l'entrata e l'uscita".
Una
coeva cronaca manoscritta annotò minutamente questa festa compresa la
spesa di 225 ducati per costruire il "suddetto Rinchiuso colonniato
tutto di tavole veneziane cartucciato e dipinto," sostenuta dal Priore
della festa don Filippo D'Aprile Cantore della nostra Chiesa Cattedrale.(Elio
PINDINELLI)
ARALDICA
CITTADINA
E'
noto che per chi voglia con profitto approfondire la conoscenza dell'araldica
cittadina è utile far riferimento al bel volume di Amilcare Foscarini
"Armerista e notiziario delle
famiglie nobili, notabili e feudatarie di Terra d'Otranto" che nella
sua seconda edizione rivista ed accresciuta è oggi disponibile nella ristampa
anastatica dell'editore Forni di Bologna, naturalmente facendo debito
riferimento al manoscritto, conservato nella biblioteca comunale, del
notaio Vincenzo Dolce che, a cavallo della metà dell'Ottocento, sulla
scorta degli stemmi dei passati Sindaci di Gallipoli dipinti nell'antico
Palazzo di città (ex Pretura), scrisse una sorta di storia, tra romanzo
e fantasia, delle famiglie nobili o patrizie della città.
La
presunta nobiltà delle famiglie che diedero fino al 1791 Sindaci alla
città è questione ben nota agli studi storici ed una miriade di atti notarili
del XVIII secolo ci documentano della caparbia insistenza con cui quelle
famiglie procedevano ad "attestatio et recognitio" della propria
asserita nobiltà.
Anche
il Ravenna, che scrisse le "Memorie Istoriche della fedelissima città
di Gallipoli" pubblicate a Napoli dal Miranda nel 1836, diede cenni
delle famiglie illustri di Gallipoli e dei suoi maggiori epigoni senza
però decriverne le armi araldiche. Di questo volume si conoscevano fino
a poco tempo fa due manoscritti uno dei quali certamente autografo di
Bartolomeo Ravenna pervenuto non si sa per quale via nelle mani del prof.
Agostino Cataldi che con fortuna si dilettò nel verseggio dialettale.
Su
quel manoscritto comparivano bei disegni a penna raffiguranti gli stemmi
araldici di 35 famiglie nobili di Gallipoli, che Ettore Vernole ebbe cura
di trascrivere attorno agli anni '20 e che noi qui riproduciamo, convinti
di fare cosa gradita agli appassionati ed ancor più a
quanti possono con diletto ritrovare le tracce di un passato familiare
così intimamente legato al vissuto storico di una comunità cittadina.(E.PINDINELLI)
(Segue
manoscritto)
Mie
foto
1)
Il salone di rappresentanza del Comune di Gallipoli nel 1932. La sua inaugurazione
data all'8 dicembre 1930 dopo i lavori di decorazione eseguiti da Agesilao
Flora. Per l'occasione fu fattio venire da Murano uno splendido lampadario
e alle pareti furono sistemati i due teli dipinti da Giulio Pagliano,
uno raffigurante Mussolini a cavallo, oggi conservato nel Museo civico,
e l'altro con il gallo dell'insegna civica, oggi nella sala del Consiglio
e rimaneggiato negli anni sessanta dal pittore Ugo Leone.
2)
Una storica foto scattata nel 1923 dal fotografo gallipolino Alfredo Stefanelli
documenta la fase della demolizione, avvenuta nel porto di Gallipoli,
di tre corazzate austriache, tra cui la Maria Theresia, divenute bottino
di guerra a seguito della vittoria dell'Italia nella prima guerra mondiale.
3)
Una cartolina edita negli anni trenta documenta la Sezione corale del
Dopolavoro di Gallipoli nel costume tradizionale settecentesco dei pescatori
di Gallipoli, il 7 settembre 1934, sulla terrazza delle Nazioni alla Fiera
del Levante di Bari. In quell'occasione il gruppo corale organizzato da
Ettore Vernole, che si intravede sulla destra, eseguì una serie di canti
popolari gallipolini. La registrazione fu curata dall'E.I.A.R. ed è oggi
conservata nell'archivio fonografico dello Stato.
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