Piedi per terra, occhi al cielo: così il vecchio contadino prova a sollevare il velo....

 
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Proverbi Maestrino

I proverbi sono frasi brevi e secche, che si ricordano facilmente sia perché sono spesso ripetute, sia perché sono associate a ben precise situazioni e circostanze. Qualcuno afferma che essi siano la scienza dei popoli, forse lo sono e forse no, come dimostrano non pochi proverbi che si contraddicono palesemente:
"'Chi non risica non rosica" e "Chi lascia la strada vecchia ..." predicano appunto due opposti atteggiamenti.

Alcuni proverbi hanno oggettivamente una funzione pedagogica, sono quelli legati al tempo ed ai lavori dei campi, questi, forse meritano d'essere considerati espressione di saggezza, ma queste considerazioni ci porterebbero forse troppo lontano.
E' sufficiente sottolineare il fatto che in ogni regione ed in ogni Nazione, i proverbi contadini si somigliano, quando non sono del tutto identici.

Quelli che ci interessano di più in questa sede sono i proverbi più strettamente locali, quelli che si riferiscono alla vita torinese o alle specifiche colture del Piemonte, come quella della vite per la produzione di vino, o quelli che ricordano la coltura del riso.
Questi proverbi riverberano spesso situazioni e vicende ormai lontane nel tempo, tanto lontane che non sempre è possibile risalire all'occasione che ha trasformato un modo di dire, appunto, in un modo di dire "proverbiale".
Tanto più che è proprio una caratteristica dei proverbi quella di adattarsi ai tempi, magari assumendo diverse sfumature di significato.
Tuttavia di alcuni proverbi, pochi, conosciamo l'origine proprio perché essa è locale e legata fatti e costumi in qualche modo unici o che hanno mutato radicalmente costumi ed abitudini consolidate.
Ne citiamo in particolare alcuni, che possono aiutarci a capire come questi "modi di dire" si trasformarono in proverbi nella nostra terra:

- Sa l'è nen bon per al re l'è gnanca bon per la regina.
(Se non serve al re non può servire neppure alla regina).

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Oltre all’allusione maliziosa che ha un forte sapore popolaresco che esalta senza mediazioni la virilità, sappiamo che questa frase fu coniata ed utilizzata a metà del '500 a Torino, quando il duca Emanuele Filiberto, tornato in possesso di gran parte del dominio della sua famiglia, istituì una sorta di "coscrizione obbligatoria". Per la prima volta in età moderna, un monarca decise di costituire un esercito permanente non mercenario, una assoluta novità quindi, che sconvolse non poco le abitudini del popolo torinese e piemontese.
Forse è azzardato, ma nulla impedisce di pensare che si tratti di uno dei primi messaggi pubblicitari diventati popolari.

- Doi sold 'd la sghijarola
([I due soldi della scivolata)

E' una frase apparentemente senza senso che i genitori o chi per loro, utilizzano/utilizzavano quale minaccia di percosse future.
Due fatti sono all'origine di questo proverbio che, per la verità, conoscono per averlo udito ed utilizzato soltanto le persone meno giovani.

Dalla metà dell'Ottocento entrò in vigore una multa che i genitori dovevano pagare quando uno scolaro era sorpreso dagli insegnanti a bighellonare durante le ore di lezione, inizialmente la multa ammontava a dieci centesimi, appunto due soldi.
Fino ai primi del '900, inoltre, al centro delle attuali vie XX Settembre e via Garibaldi, scorrevano due "bealere", due ruscelli.
D'inverno gelavano, soprattutto quello al centro di via XX Settembre, più piccolo ed in leggera discesa.
Una tentazione troppo grande per i ragazzi che alla scuola preferivano le lunghe scivolate sul ghiaccio.
Di qui la pioggia di multe per ritardi ed assenze, di qui il senso dei 'due soldi' che i ragazzini pagavano in scapaccioni, com'era nell'uso dei tempi.

- Fé san Martin
(Fare san Martino. 11 novembre)

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E' un proverbio noto in tutto il Nord d'Italia e nelle Nazioni confinanti.
L'11 novembre era la data tradizionale in cui scadevano i contratti d'affitto e di mezzadria delle terre, per cui era la data dei traslochi da una cascina all'altra, traslochi il più delle volte amari, perché di solito accompagnati dalle proteste dei contadini, sempre insoddisfatti per la valutazione delle 'migliorie' ai fondi, previste dal contratto e statisticamente quasi totalmente ignorate dai padroni.

In particolare nelle ultime decadi dell'800 e nelle prime del '900, "fé san Martin" divenne sinonimo di sopraffazione, poiché ogni spostamento comportava l'accettazione di patti sempre più onerosi per i contadini, tanto che la durata dei contratti si ridusse sempre di più, giungendo all'incredibile durata d'un solo anno agrario.
L'insicurezza per il futuro rendeva oggettivamente più 'docili' i contadini ed i mezzadri.
Quanto questo proverbio fosse radicato in Piemonte è dimostrato dal fatto che è attribuita a Vittorio Emanuele II questa affermazione:

"Coragi fieuj, s'i pioma nen noi San Martin, j'alman an fan fé San Martin a noi."
(Coraggio ragazzi, se non prendiamo noi San Martino, saranno gli Austriaci a farci fare San Martino).

Che nel 1859 il re di Savoia abbia o meno pronunciato queste parole è irrilevante, ciò che conta è che esse furono tramandate e comprese da tutti.

A forsa ‘d nuiusé cáich cos a s’ gava sempre
A forza d’importunare qualcosa si ottiene

L’aj a l’è le spesiàri d’i paisan
L’aglio è il farmacista dei contadini

A caval sprùn a la fùmna bastùn
A un cavallo sprone, alla moglie bastone

A ese galantom as dventa nen sgnùr
A essere galantuomo non si diventa ricco

A gùssa a gùssa a s’ fora la pera
A goccia a goccia si buca la roccia

A fese bin vurei a-i va ben poc
A farsi benvolere basta poco

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A-i-è nen ‘d pi bel che ‘na facia cuntenta
Niente v’è di più bello che una faccia contenta

A l’è mac le muntagne c’a s’ancuntru nen
Soltanto le montagne non s’incontrano

A-i-è gnun saba sensa sul, e gnuna dona sens’ amur
Né sabato senza sole né donna senza amore

A-i-è nen bela reusa c’a dventa nen gratacul
Non c'è bella rosa che non diventi grattaculo

A l’è l’istes cùm versé d’aqua ant ‘l Po
E’ come versare acqua in Po

A la seira liùn, a la matin plandrùn
Di sera leone, al mattino poltrone

A-i-è ‘n Diu per i ciuch
Esiste un Dio per gli ubriachi

A cùsta d’ pí a ese cativ che a ese brav
Costa di più essere cattivo – che essere bravo

A túte le cose a-i-va so temp
Ogni cosa ha bisogno di tempo

A San Martin ‘l mùst a l’è vin
A San Martino il mosto è vino

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A l’è mai istà s’a-i-è gnúne mùsche
Non è mai estate se mancano le mosche

Cùn l’asu a-i véul ‘l bastùn
Con l’asino ci vuole il bastone

Anbriachese a l’usteria del pùs
Ubriacarsi all’osteria del pozzo

Chi d’amùr as pia d’ rabia as lasa
Chi d’amore s’accoppia di rabbia si lascia

A l’è ben avei d’amiss fin’ a cà del diáu
Conviene avere amici anche in casa del diavolo

All’amis peila ‘l fi, al nemis ‘l pèrsi
All’amico sbuccia il fico, al nemico la pesca

L’amùr a l’è pi fort che ‘l brùs
L’amore è più forte che il formaggio forte

Anada da erba, anada d’ merda
Annata erbosa annata merdosa

Anada da bulé anata da tribulé
Annata fungosa annata penosa

Aria ‘d filúra aria ‘d sepultúra
Corrente di fessura corrente di sepoltura

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Asu c’a porta ‘l vin e beiv l’eva
Asino che trasporta il vino e beve l’acqua

Apres a la neuit a-i ven ‘l dí
Dopo la notte ritorna il dì

Anada da vespe anada d’ vin bùn
Anno da vespe anno di vino buono

L’aqua c’a cùr a l’è sempre bùna
L'acqua corrente è sempre buona

Cùl c’a l’è stait brusà da l’aqua cauda a l’à paura fina d’ la freida
Chi si scottò con l’acqua calda teme persin la fredda

L’aqua a fa vní le boie
L’acqua fa venire i vermi

Sut l’aqua fam e sut la fioca pan
Sotto l’acqua fame, sotto la neve pane

Un batocc a peul nen serve per due cioche
Un battaglio non può servire a due campane

‘N bùn busiard venta c’a l’abia d’ bùna memoria
Un buon bugiardo deve avere buona memoria

Basta nen avei rasùn, venta co saveisla fé
Non basta avere ragione, bisogna anche sapersela fare

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I bei fieui van fe ‘l suldà – e i macacu stan a ca
I bei ragazzi vanno militari – mentre i macachi se ne stanno a casa

Bel vener brúta duminica
Venerdì bello domenica brutta

Vurùmse bin e scrivùmse mai
Vogliamoci bene e non scriviamoci mai

Buté l’asu a caval
Mettere l’asino a cavallo

Le braie d’j áutri a fan mal al darè
I pantaloni altrui fan male al didietro

L’ bsogn a fa cunose j amis
Il bisogno fa conoscere gli amici

‘L butal a dà ‘l vin c’a l’à
La botte dà il vino che ha

Le busie a sùn cùm j sop, c’a s’ cunosu da luntan
Le bugie, come gli zoppi, si distinguono da lontano

A paghé cum’ a meuire a-i-è sempre temp
Per pagare come per morire c’è sempre tempo

Bel an fassa brút an piassa
Bello in fasce brutto in piazza Bellezza nella culla bellezza fasulla

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La ca va sempre mal quand la fùmna a porta le braje e l’om ‘l scussal
La casa va male se la donna ha le brache e l’uomo il grembiule

Mentre ‘l can a’s grata la levr a scapa
Mentre il cane si gratta la lepre scappa

Cheur cuntent ‘l ciel l'agiúta
Cuor contento il ciel l’aiuta

Cativa lavandera a treuva mai na bùna pera
A lavandaia poco capace – nessuna lastra per appoggio piace

Cherpa pansa pitost che roba avansa
Scoppi anche il ventre ma non si avanzi niente

Per cunose ún a bsogna mangeje pí d’ na volta ansema
Per conoscere qualcuno bisogna stare in tavola con lui più di una volta

Che Santa Lusía a i cunserva la vista, chè a smia che l’aptit a i manca nen
Santa Lucia gli conservi la vista, chè l’appetito pare non gli manchi

Curagi, fieui, scapùma….
Coraggio, ragazzi, scappiamo…

Chi a fa i cùnt sensa l’ostu a i fa dùe volte
Chi fa i conti senza l’oste li fa due volte

Chi à nen testa búta gambe
Chi non ha testa mette gambe

Torna su

Cùl c’a l’à pí tort a crija pí fort
Chi ha più torto grida più forte

Chi c’a l’è ‘n difet, a l’è ‘n suspet
Chi è in difetto, è in sospetto

Chi à nen a s’ grata
Chi ha niente si gratta

Chi sgata ‘l feu a fa surtí le splúe
Chi fruga il fuoco provoca scintille

Chi pisa ciair s’ n’ anfùt del medich
Chi piscia chiaro se ne frega del medico

Chi fa nen l’à nen
Chi non fa non ha

Chi a sgheira s-ciopa
Chi spreca crepa

Chi a s’ ripara sut na frasca – a pija lon c’a-i casca
Chi si ripara sotto una frasca – riceve ciò che ne casca

Chi dà, peui pija, ‘l diau lu porta via
Chi dà, e poi riprende, il diavolo se lo prende

Chi sa nen fé so mestè, ca sara la butega
Chi non sa il suo mestiere, chiuda bottega

Torna su

Chi vend a credit a fa un bùn afè, ma suvens a perd l’amis e i dnè
Chi vende a credito fa buoni affari, ma spesso perde l’amico e i denari

Chi a l’à vedú Turin e nen la Venaria l’à cunusú la mare e nen la fia
Chi vide Torino e non La Venaria conobbe la madre e non la figlia

Chi va al mulin a s’anfarina
Chi va al mulino, s’infarina

Duré da Natal a San Stevu
Durare da Natale a Santo Stefano

L’eui del padrun a angrasa ‘l caval
Lo sguardo del padrone fa ingrassare il cavallo

Fa’ che t’ n’ àbie
Procura d’averne

La fioca a mena ‘l sùl
La neve porta sole

La gata fola fa i gatin borgnu
Gatta sciocca fa gattini ciechi

L’istà d’ San Martin a dúra da la seira a la matin
L’estate di San Martino dura dalla sera al mattino

Galina veja a fa bùn brod
Gallina vecchia fa buon brodo

Torna su

La prima galina c’a canta a l’è cùla c’a l’à fait l’euv
La gallina che per prima canta ha fatto l’uovo

Gieugh d’ man, gieugh d’ vilan
Giuoco di mano, giuoco da villano

La giùventú a l’è la blessa d’ l’asu
La gioventù è la bellezza dell' asino

Intant che l’erba crès ‘l caval a meuir
Mentre l’erba cresce, muore il cavallo

An mancansa d’i cavai j asu a trotu
In mancanza di cavalli trottano gli asini

La mort ciapa tút, bel e brút
La morte arraffa tutto, il bello e il brutto

‘L minciùn ca staga a cà
Chi è minchione stia a casa

La merda c’a mùnta an scagn, o c’a spussa o c’a fa dan
Merda che monta in seggiola o puzza o danneggia

La neuit a porta cunsei
La notte porta consiglio

Nusgnùr a paga tard ma a paga largh
Iddio paga in ritardo ma paga largo

Torna su

Nusgnùr a dis: agiút-te che i t’agiutréu
Nostro Signore dice: aiutati e t’aiuterò

Un om pí a l’è bùn, pí a pasa per minciùn
L’uomo più è buono più passa per minchione

Pan e nùs, vita da spùs
Pane e noci, vita da sposi

Piemunteis faus e curteis, italian faus e vilan
Piemontese falso e cortese, italiano falso e villano

‘N poc a prùn fa mal a gnún
Un po’ per uno fa male a nessuno

A pensé ben a-i-è sempre temp
A pensar bene c’è sempre tempo

Prest a let e prest fora del let a fan l’om san e perfet
Presto nel letto e presto su dal letto, uomo sano e perfetto

Quand Superga a l’à ‘l capel, o c’a fa brút o c’a fa bel
Se Superga ha il cappello, o fa brutto o fa bello

Questiùn d’ nen piesla
La cosa importante è non arrabbiarsi

Ramasa neuva ramasa bin la cà
Scopa nuova scopa bene la casa

Il temp a rangia tút
Il tempo aggiusta tutto

‘L vin a l’è la púpa di vei
Il vino è la poppa dei vecchi

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25/03/01

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